Referendum Lombardia e Veneto, un altro schiaffo al cosiddetto establishment*
Chi scrive, da tempo propone anche per il Piemonte una via simile a quella intrapresa da Veneto e Lombardia per ottenere maggiore autonomia dallo Stato centrale. Sia in termini di competenze, sia in fatto di gestione diretta della gran parte del gettito fiscale generato sul nostro territorio.
Non incentrerò, tuttavia, questa mia breve riflessione sulla bontà di questa opzione: da qualche settimana e, a maggior ragione, dopo il risultato di ieri nelle due regioni del Nord guidate dal centrodestra, si stanno già esercitando in tanti – e ben più autorevoli del sottoscritto – esponenti politici locali del mio come di altri partiti della coalizione.
E neppure commenterò il borsino del “chi vince e chi perde”, e le reazioni delle parti politiche e degli eletti nelle Istituzioni di fronte ai risultati finali.
Vorrei, invece, porre l’attenzione nei confronti degli elettori: quei più di 5 milioni di individui che, nelle due regioni più dinamiche del nostro Paese dal punto di vista della vitalità economica e dello sviluppo, si sono presentati ai seggi, dando un segnale chiaro e forte al cosiddetto Palazzo.
Quelle persone, infatti, in larga parte appartengono per reddito ad un ceto medio e medio-basso, e per prime in questi anni hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti della crisi economica, impoverendosi e modificando al ribasso il proprio stile di vita; sperimentano in prima persona l’insicurezza delle nostre città; ritengono, non a torto, di pagare tasse alte per finanziare spese e sprechi altrui; sono indignati nei confronti di un ceto partitico e, soprattutto, di un circuito mediatico che li tengono da anni ai margini dell’agenda politica e del mainstream ufficiale.
In una parola, si sentono, e molto probabilmente sono, periferici.
Sono persone che usano – e non è la prima volta in Italia (si pensi al referendum del 4 dicembre scorso), né in altre parti del mondo – l’arma del voto per segnalare l’insoddisfazione e la richiesta a chi è al governo delle Istituzioni di cambiare rotta e di occuparsi delle proprie priorità. E tutto ciò avviene nonostante il cosiddetto “establishment”, in tutte le sue manifestazioni, cerchi di imporre il proprio pensiero (unico).
L’Italia fra qualche settimana sarà in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento e del Governo e l’arma del voto sarà nuovamente decisiva: la sfida per il centrodestra unito sarà, dunque, quella di costruire un’offerta politica che sappia nuovamente dare rappresentanza al legittimo desiderio di cambiamento di tanti Italiani, mettendo a punto – e realizzando! – un programma di legislatura che dia precedenza alle ragioni del benessere economico, del creare ricchezza e, quindi, lavoro, della sicurezza e della riduzione del peso dello Stato.