Presidenza della Repubblica, e dintorni
I giornali sono da tempo pieni di ricostruzioni sul cosiddetto “romanzo Quirinale”, il percorso cioè che ci porterà alle votazioni in Parlamento – probabilmente a partire dal 18 gennaio dell’anno nuovo – del prossimo Presidente della Repubblica.
Nel merito, nelle scorse settimane le colonne dei principali quotidiani sono state riempite da più o meno velati (molto meno che più) inviti al Presidente oggi in carica Sergio Mattarella a rimanere per un bis, magari a tempo determinato (!). A tal proposito, come non ricordare l’enfasi con la quale sono stati sottolineati i meritati applausi del “popolo della Scala” di Milano, nel corso della prima della nuova stagione teatrale… Da un paio di giorni, poi, incassato il definitivo diniego dell’attuale custode della Costituzione, all’interno di quelle stesse colonne fior di editorialisti stanno alacremente lavorando per l’ipotesi Draghi al Quirinale, con una sorta di Governo del Presidente che ci accompagnerà di qui alla scadenza naturale della legislatura a marzo 2023. Vedremo con quali esiti. Ma non è su questo aspetto (su cui ovviamente ho le mie idee ben chiare) che vorrei soffermarmi, visto che sarà un tema dei primi giorni del nuovo anno.
Oggi, invece, vorrei sottolineare una questione di metodo, che così, en passant, viene veicolata sui principali media della carta stampata. Ed è la stessa che non ha permesso all’inizio dell’attuale Legislatura alle forze politiche di centrodestra, unite in una coalizione che si era presentata compatta al giudizio degli Italiani, di avere l’incarico per tentare di formare un Governo, pur avendo ottenuto la maggioranza relativa dei seggi parlamentari. Così come assomiglia molto alla storiella secondo cui, quando un candidato qualunque è in una lista del PD, si tende a sottolinearne principalmente l’espressione della sua territorialità, mentre, a parti invertite, diventa solo un candidato “di destra”, magari brutto, sporco e cattivo o, ancora peggio “un pericoloso berlusconiano” (orrore!) da osteggiare in ogni modo, senza alcun radicamento (e potrei riempire post e post su questo argomento, con testimonianze dirette).
Tutto ciò trova una perfetta sintesi nelle dichiarazioni virgolettate, su La Stampa di ieri, del Ministro PD Andrea Orlando, che sul nome del prossimo Presidente della Repubblica si è così espresso: “Serve un presidente di garanzia, un rappresentante del centrodestra come vuole la Meloni non lo sarebbe”.
Quindi, per tradurre: se fosse del centrosinistra (come TUTTI i Presidenti eletti dal Parlamento dopo la fine della cosiddetta Prima Repubblica) avrebbe le caratteristiche giuste, perché “di garanzia”. Se fosse del centrodestra, che – giova ricordare – oggi ha la maggioranza relativa dei Grandi Elettori dalla sua, sarebbe di parte: in altri termini, una proposta irricevibile.
La notizia, però – da dare a quelli che ancora ragionano in questi termini – è che il centrodestra, grazie a Silvio Berlusconi e a Forza Italia, esiste, è ben radicato nella società, rispetta e serve le Istituzioni, governa e svolge il lavoro di controllo a tutti i livelli – Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province, Comuni – ed è, quando si presenta unito, stabilmente la prima forza politica per consenso, spesso con ampio margine. E tutto ciò avviene ormai da quasi 28 anni. Quindi, nelle nostre fila si trova ben più di un esponente che ha l’autorevolezza, la storia e i valori. Uno più di tutti, e nel mio caso non è difficile indovinare a chi mi riferisca, ma ne parleremo nei primi giorni del 2022, entrando nel merito e superando, appunto, veti di metodo che appartengono ad un modo di leggere i fatti della politica superato e stantio. Questo sì, davvero irricevibile.