Opere pubbliche come lumache: come sveltire l’iter?
Proprio nei giorni scorsi mi interrogavo sul destino della linea 2 della metropolitana di Torino, pensando all’interesse principale del cittadino-contribuente: quando, cioè, sarebbe entrata effettivamente in esercizio, quantomeno la prima tratta di circa 10 chilometri tra Rebaudengo e il Politecnico. Quella, per intenderci, fatta di 13 stazioni, che consentirà all’area nord di Torino di essere meglio collegata con il centro città, e che è già stata finanziata dallo Stato, per circa 1 miliardo e 830 milioni, attraverso due provvedimenti che hanno caratterizzato la scorsa legislatura parlamentare.
Già, quando? Ricordavo l’inizio 2032, e andando a rileggere i documenti ufficiali di Infra.To ho trovato una “quasi conferma”: il cronoprogramma, infatti, prevede che la gara per l’affidamento sia bandita a luglio di quest’anno e che il soggetto incaricato di eseguire l’opera venga contrattualizzato entro dicembre. Di lì in avanti, 7 anni e 7 mesi per l’esecuzione vera e propria, quindi con un’ipotetica messa in esercizio della nuova linea a fine 2031. Insomma, ricordavo abbastanza bene: dovremo aspettare i primi treni per molti anni ancora.
E allora, un paio di considerazioni o, meglio, di domande retoriche. La prima: le tempistiche per un’infrastruttura del genere sono compatibili con le esigenze della nostra città, della nostra area metropolitana e della nostra regione? La seconda: l’opinione pubblica si pone il problema del costo del tempo impiegato – in alcuni casi, sarebbe meglio dire perso! – intorno ad un’opera pubblica?
Ne aggiungo una terza, che deriva dalle prime due e che forse suggerisce la soluzione: esiste un modo, anche in Italia, anche a Torino, per accelerare e per mettere a disposizione dei cittadini-contribuenti il prima possibile un’opera così importante e per far sì che la linea 2 possa rappresentare un’esternalità positiva anche per chi oggi sta pagando le tasse e, domani mattina, si troverà un cantiere nei pressi della propria attività commerciale, senza aspettare il 2032?
Ed eccola, la soluzione: il modello Genova. Poteri commissariali, cioè, affidati ad un soggetto che si faccia carico di dare esecuzione alla realizzazione dell’opera, riducendo in primo luogo i tempi per gli adempimenti burocratici. Esattamente quanto chiesto ieri dal Presidente Cirio e dal Sindaco Lo Russo al Ministro Salvini. Nel capoluogo ligure, il Ponte Morandi, ridenominato San Giorgio, è stato ricostruito in 15 mesi, ed è stato inaugurato due anni dopo il crollo. Più che dimezzando i tempi del viadotto originario. Bene, dunque, che il Governo abbia dato il proprio assenso per replicare a Torino il modello utilizzato dal commissario, nonché sindaco di Genova, Marco Bucci. E’ certamente un’ottima notizia per Torino e per il Piemonte.
In più, sarebbe necessario rivedere il quadro economico: se è vero, infatti, che queste tredici stazioni della prima tratta, come dicevo all’inizio, hanno già assicurato il finanziamento, è altrettanto vero che uno stanziamento aggiuntivo dovrà essere previsto per l’aumento dei costi delle materie prime, con tutto ciò che ne consegue. E, se davvero si considera il tempo come una variabile scarsa e, come tale, valorizzabile, si dovrà dotare il commissario di ulteriori risorse finanziarie per consentire a chi avrà l’incarico di realizzare la prima tratta di tagliare il più possibile i tempi di esecuzione vera e propria.
La palla è nelle mani del Governo e dell’attuale Parlamento, e mi auguro che la strada tracciata ieri ci porti al risultato con l’aiuto di tutti, indipendentemente dal colore politico. Perché, come si suol dire, il tempo stringe.