Distanza di cortesia per i non fumatori
Come trasformare un problema serio in una commedia all’italiana: istruzioni a cura del Comune di Torino, argomento il divieto di fumo all’aperto a una “distanza di cortesia” misurabile in 5 metri, a meno di avere un “esplicito consenso” da parte delle persone presenti. Quindi nella dotazione dei vigili urbani, da oggi ci sarà un metro a nastro (in termini tecnici, flessometro) per misurare le distanze?
Il problema, dicevo, è serio. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il tabacco uccide più di 8 milioni di persone e rappresenta il 25% di tutte le morti per cancro; la tossicità del fumo è indiscutibile anche per coloro che lo respirano soltanto, il cosiddetto fumo passivo. Una volta si fumava in macchina, al cinema, al ristorante: ora, per fortuna, non esiste. Ma non è una questione di divieti e sanzioni, sono proprio cambiate la mentalità, la cultura, la coscienza condivisa. È un percorso che va avanti inarrestabile, tante città e tanti Paesi (Svezia e Nuova Zelanda in prima fila) stanno compiendo un percorso per diventare “smoke free”, anche in virtù della Convenzione dell’Oms sul controllo del tabacco (Fctc) firmata nel 2004 anche dall’Italia.
Tutto bello, tutto giusto. Il mio “ma” riguarda l’ambito delle libertà personali, che non va mai dimenticato. È quel confine che lo Stato, quando si fa educatore se non addirittura moralista, non deve mai superare, ci sono tanti esempi nella storia che lo confermano. Io, come tutte le persone ben educate, non ho bisogno del righello del vigile urbano per non fumare vicino a un bambino o una donna incinta, non ci deve essere una sanzione da 100 euro (sic) per impedirmelo.
Anche perché non fumo.