DL Rilancio, è necessario consentire l’accesso al fondo perduto ai liberi professionisti
La cifra del disinteresse dell’attuale Governo nei confronti del mondo delle libere professioni è data dalla totale assenza, in questi mesi così complicati, di un piano d’azione a supporto di quella categoria di lavoratori. L’avvisaglia è stata, fin da subito, la norma del “Cura Italia” che aveva messo in forte dubbio la possibilità di ottenere l’indennità da 600 euro: bonus poi erogato, ma non all’intera categoria professionale, avendo deciso di vincolare lo strumento a limiti di reddito derivanti da annualità pregresse. Una scelta illogica, visto che i mancati incassi di quest’anno sono certamente incomparabili con l’attività lavorativa degli anni precedenti.
A ciò si è aggiunto, con l’articolo 25 del decreto cosiddetto “Rilancio” e la conseguente circolare dell’Agenzia delle Entrate, il mancato accesso al contributo a fondo perduto, di cui possono beneficiare solo i professionisti aderenti a società, con l’incomprensibile e iniqua esclusione dei professionisti iscritti alle casse che svolgono la propria attività individualmente.
Anziché ringraziare un’intera categoria, che in questi mesi di lockdown ha lavorato ininterrottamente per aiutare l’Italia intera a gestire la piena emergenza, il Governo vuole continuare a considerare i liberi professionisti come lavoratori di serie B? Si tratta di commercialisti, avvocati, architetti e ingegneri, che hanno svolto la propria attività con la consueta professionalità e dedizione, affiancando i propri clienti e aiutandoli a comprendere e gestire il dedalo di norme, il più delle volte complesse e di non immediata applicazione, che il legislatore ha via via messo in campo.
Il primo passo è iniziare a rispettare il valore del lavoro di quei professionisti che, con la propria partita iva, aiutano e sostengono giorno per giorno la complessa macchina burocratica statale, senza, magari, incassare nulla, modificando in fretta la norma. Ad oggi, infatti, si vive il paradosso per cui, ad esempio, un commercialista è tenuto a presentare la pratica del contributo a fondo perduto per un proprio cliente, ma non può richiederla per se stesso. E allora è lecito chiedersi: qual è il giusto valore da attribuire a questa pratica, tenuto conto che il professionista sta svolgendo un lavoro ma la persona che richiede il contributo si trova in un’evidente condizione di difficoltà economica?