DL ristoro, per i test antigenici risorse nettamente insufficienti
Se l’unica strada per evitare la corsa verso gli ospedali e la pressione sulle strutture di terapia intensiva e subintensiva è rafforzare urgentemente la diagnostica a livello territoriale tramite un maggiore coinvolgimento dei medici di famiglia, allora i 30 milioni di euro che il Governo ha previsto all’articolo 18 del decreto Ristori rischiano di essere un mero palliativo.
In concreto, infatti, quelle risorse saranno appena sufficienti a dotare i più di 50mila medici di famiglia e pediatri di libera scelta in Italia di soli 2 milioni di tamponi antigenici, garantendo di fatto un grado di copertura dei loro assistiti percentualmente irrilevante e inadatto a raggiungere l’obiettivo di attivare la diagnosi precoce delle infezioni da Covid19 adesso, cioè nel picco della diffusione delle influenze di stagione.
Poiché nelle settimane scorse è stato definito un accordo a livello nazionale con il Governo che prevede proprio la possibilità di intervenire, tramite la rete dei medici di famiglia, con i test antigenici propedeutici, in caso di positività, al test molecolare, ora si tratta di tradurre in sede operativa con le singole Regioni tale disposizione che, pur essendo arrivata con colpevole ritardo, ha stabilito le linee di indirizzo da tradurre in decisioni sui protocolli operativi a livello territoriale, che auspichiamo immediate e non ostacolate da impedimenti burocratici.
Lo stesso accordo, infatti, prevede in aggiunta lo sblocco di ulteriori risorse, per circa 260 milioni di euro, destinate alla diagnostica di primo livello di cui dotare gli studi medici del servizio sanitario nazionale, ulteriore tassello per decongestionare gli ospedali.
La celerità di intervento dei livelli regionali è oggi determinante, specie in Regioni come il Piemonte, dove l’età anagrafica è in media più alta rispetto al resto del Paese e dove la paura di non trovare eventualmente un posto letto in caso di malattia da Covid-19 potrebbe portare ad una corsa agli ospedali, con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di pressione sulla capacità operativa dei Pronto Soccorso e sull’allungamento delle liste d’attesa di altre prestazioni specialistiche.