Dpcm, sulle seconde case un ravvedimento tardivo
La possibilità di raggiungere la seconda casa fuori dai confini regionali, novità che emerge da una lettura in controluce del nuovo dpcm appena entrato in vigore, è una tardiva correzione di un grave errore precedente, come giustamente è stato osservato nei giorni scorsi dal Presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa.
Si tratta, infatti, di consentire a tante famiglie di poter finalmente tornare a disporre di un proprio bene patrimoniale, che nel frattempo ha continuato ad essere gravato da IMU, Tari e altre spese fisse, pur essendone stato precluso per mesi l’utilizzo da parte del Governo Conte. Oltre a rallegrarsi per questo esito di assoluto buonsenso, seppur tardivo e, secondo alcune “veline” fatte circolare ieri, addirittura ancora sospeso in attesa di un’interpretazione in tal senso definitiva da pubblicarsi nella giornata odierna all’interno delle ormai celeberrime FAQ sul sito del Governo, bisognerebbe interrogarsi sulle motivazioni scientifiche che hanno spinto Conte, Speranza e Franceschini ad impedire per mesi, in modo del tutto irrazionale, l’uso delle abitazioni situate fuori Regione, a differenza di quanto invece consentito per quelle ricomprese nei confini regionali del territorio di residenza abituale. Quale sarebbe stato l’impatto in termini di limitazione dei contagi della chiusura delle prime rispetto alle seconde?
E, in fatto di certezza del diritto e di chiarezza nella comunicazione ai cittadini, subissati ormai da quasi un anno da dirette televisive, on line e da una sorta di ipertrofia normativa, è lecito chiedersi: perché la piccola libertà ritrovata di poter finalmente raggiungere casa propria deve emergere in modo indiretto e per confronto con i dpcm precedenti, senza una previsione immediatamente comprensibile a tutti ed esplicita?