Centrodestra nuovo, si (ri)parta dalle basi
Provo anche io ad iscrivermi al dibattito scaturito a seguito dell’ipotesi di federazione tra Forza Italia e Lega, di cui abbiamo sentito dalle parole dei leader e letto in questi giorni sui quotidiani. Ciò, senza alimentare contrapposizioni che credo non siano di grande interesse per il pubblico sugli spalti, ma cercando di offrire un contributo propositivo e, perché no, operativo.
Un paio di premesse.
La prima. Come è noto, sono un militante di Forza Italia dal 1994 e, pur essendo il più giovane parlamentare piemontese, ho vissuto in prima persona – a differenza di chi è arrivato dopo, anche da altre esperienze – tutte le fasi di questo straordinario percorso lungo 27 anni: credo pertanto, tuttora e fortemente, nell’identità del nostro Movimento. E farei un’enorme fatica ad ammainarne la bandiera.
La seconda. Essendo da sempre un sostenitore di modelli istituzionali che prevedano l’alternanza di governo tipica del sistema anglosassone, continuo a ritenere preferibile uno schema maggioritario “secco”, a turno unico, in cui due grandi formazioni politiche si confrontano e propongono ai cittadini le proprie piattaforme programmatiche. Con un esito chiaro, un minuto dopo la chiusura delle urne: chi vince governa, chi perde controlla. E se ne riparla dopo cinque anni.
Pertanto, se potessi esprimere un desiderio, auspicherei che l’esito del dibattito di questi giorni fosse la realizzazione anche qui da noi di un unico contenitore liberal-conservatore organizzato come il Partito Repubblicano USA. Un grande partito – aperto, plurale e contendibile ad ogni livello – in cui ciascuno degli attuali protagonisti del centrodestra italiano possa trovare collocazione, ottenendo spazi ed affermando la propria agenda politica con idee e capacità di mobilitazione.
In Italia un’esperienza simile si tentò con il PDL, che fu una grandissima intuizione di Silvio Berlusconi e che però non riuscì a superare lo scoglio delle quote garantite dal notaio fra i partiti aderenti, pur avendo avuto immediatamente – e non a caso, aggiungo – grande consenso da parte degli Italiani, anche superiore alla sommatoria delle precedenti esperienze partitiche. Il progetto venne accantonato, senza che potesse maturare “dal basso” quell’amalgama fondamentale per ogni comunità politica che aspiri a mantenere la propria centralità indipendentemente dai sondaggi più o meno volatili e che sia capace di selezionare leadership locali e nazionali.
Per evitare di incorrere nello stesso esito di qualche anno fa, oggi si potrebbe dunque ricominciare un percorso simile – che in prospettiva porti al partito unico – invertendone la modalità e partendo dalle basi. E, in tal senso, abbiamo un’occasione straordinaria: le elezioni amministrative del prossimo autunno nelle principali città italiane. In quelle competizioni potremmo fin da subito selezionare una classe dirigente a livello locale attraverso la presentazione di liste unitarie di centrodestra, come già avvenuto in passato in piccole realtà locali e come probabilmente avverrà a Napoli proprio in questa tornata amministrativa.
Perché allora non iniziare da Torino, dove è più forte il retroterra del conservatorismo italiano e dove storicamente la cultura politica si è identificata con la capacità di “fare” istituzioni liberali? Qualche giorno fa avevo proposto gli Stati generali del centrodestra torinese proprio per iniziare un percorso condiviso, a cominciare dal programma per la Città. Poiché sull’agenda di governo da proporre ai torinesi è probabilmente più facile trovare una sintesi tra quei partiti che sono accomunati dal non aver mai avuto responsabilità in tal senso, forse mettere da parte le insegne delle singole “ditte” e schierare le migliori candidature possibili in un’unica lista per l’imminente turno amministrativo può consentirci di fare un primo, significativo passo verso la costruzione di una grande forza politica degli Italiani. Partendo dagli elettori.