Blocco diesel euro 5, in arrivo la proroga decisa dal Governo

Il blocco dei diesel euro 5, che salvo proroghe decise dal Governo (oggi sui giornali si parla di due anni) dovrebbe essere operativo – il condizionale, a questo punto, è d’obbligo – nel solo territorio piemontese dal 15 settembre 2023, è stato l’argomento più “caldo” nei giorni scorsi. E continua ad esserlo, specie dopo l’intervento “a gamba tesa” del Ministro Salvini che aveva sollevato il problema anche a livello nazionale, e la successiva ricerca di una soluzione affidata ai Ministri Pichetto e Fitto.

Anche in questo caso, occorre approfondire l’argomento, per poter esprimere un punto di vista informato e il meno possibile condizionato dalle reazioni, cosiddette, “di pancia”. La buona politica ha questo presupposto, a mio giudizio.

E allora iniziamo con il ricordare che la DGR che anticipa la messa fuori gioco dei diesel euro 5 in Piemonte – la norma sarebbe dovuta diventare operativa in tutte le regioni del bacino padano nel 2025 – è del 26 febbraio 2021 (nello specifico, si trova nell’allegato A al punto 2.3), un periodo in cui evidentemente le priorità erano altre: non avrebbe dovuto, dunque, essere una sorpresa per nessuno e certe alzate di scudo dell’ultima ora, magari proprio da parte di chi ha approvato quel provvedimento, lasciano quantomeno perplessi.
Il blocco previsto è strutturale, a prescindere cioè dai semafori sulla qualità dell’aria della Regione, che imponevano i blocchi in base alle concentrazioni di inquinanti presenti nell’aria, e rischia di lasciare a piedi la maggior parte dei possessori di auto diesel (sono euro 6 soltanto le vetture più recenti). Sono già operative e allo studio deroghe per salvaguardare le esigenze di chi lavora con mezzi e furgoni fuori norma, come i venditori ambulanti, e c’è sempre la possibilità di installare il Move-In, che permette di percorrere fino a 9mila chilometri all’anno nei 76 Comuni piemontesi sopra i 10.000 abitanti che dovranno adottare le relative ordinanze. Un sistema quest’ultimo che però, sia detto per inciso, essendo basato sul tracciamento degli spostamenti rischia di innescare contenziosi giuridici in fatto di privacy violata; e comunque l’idea di “concedere” km a pagamento e prevedere bonus aggiuntivi in termini di chilometri ai guidatori “virtuosi” sa tanto di stato etico: posso dire che non mi piace?

Quando parliamo di diesel euro 5, parliamo di automobili immatricolate dal 1° settembre 2009 fino al 31 dicembre 2015, perché dal gennaio 2016 sono arrivati i diesel euro 6. Auto che nella peggiore (per i possessori) delle ipotesi hanno meno di otto anni, a fronte di una media del parco auto in Italia che è intorno agli 11 anni. Di quante automobili si tratta? Risponde il Corriere della Sera: “Soffermandosi solo sugli euro 5, costringeranno 300 mila mezzi piemontesi a restare parcheggiati. Di questi, circa 130 mila solo a Torino e provincia. Aggiungendo al conto gli euro 3 ed euro 4, i veicoli bloccati salgono a 650 mila. Secondo le stime di Confesercenti, circa il 20% del parco mezzi torinese”.

La domanda che mi pongo è la seguente: quante multe sono state elevate finora per il mancato rispetto delle ordinanze dei sindaci dei Comuni con più di 10000 abitanti previste dalla DGR, già in vigore dal 2021 per i diesel fino all’euro 4? Esiste un monitoraggio del numero di controlli effettuati e del numero di sanzioni comminate? E quindi, si può dire che l’obiettivo di ridurre l’inquinamento da motori diesel (o, a pensar male, di fare cassa) sia stato raggiunto in questo biennio di applicazione delle prime restrizioni? Le ordinanze sono state rispettate o sono rimaste sulla carta, senza controlli? E ancora: si è registrato un sensibile miglioramento della qualità dell’aria delle nostre città, oppure i dati ci confermano che anche durante i blocchi del traffico imposti dalla pandemia la situazione è rimasta invariata?

Il modo di affrontare seriamente il problema dell’inquinamento da mobilità privata è, secondo me, sempre lo stesso: passare da una logica punitiva a una logica premiale e di utilità per il singolo, tramite mezzi pubblici efficienti, capillari, puntuali e puliti. Allo stesso modo, ma il discorso si allarga a livello nazionale, prevedere una seria campagna di incentivi per la sostituzione dei mezzi più inquinanti, a partire naturalmente da chi utilizza l’auto o il furgoncino per lavorare e per produrre reddito. E per seria intendo che abbatta decisamente il costo del nuovo, ormai a prezzi inaccessibili per 3/4 della popolazione. E prevedendo, nel contempo, l’utilizzo della leva fiscale anche per la “prima auto”, un asset che per importanza nel patrimonio famigliare si affianca all’abitazione principale. Sul tema del rinnovo del parco automobili private e automezzi aziendali le proposte possono essere le più svariate, ma mi riprometto di approfondirle in un prossimo post.

Sia chiaro, nessuno vuole negare il problema della qualità dell’aria. Però non si può pensare di allargare la distanza tra chi può permettersi l’auto elettrica di ultima generazione – e che magari vive e lavora nel centro delle grandi città – e chi si trova costretto a utilizzare l’automobile per recarsi al lavoro o il furgone per lavorare e per produrre reddito: lavoratori e imprenditori che non hanno alternative praticabili al mezzo proprio. Questi provvedimenti che le Istituzioni, a cominciare dall’Unione Europea, mettono in campo tendono purtroppo ad acuire questa divaricazione. Forse la esasperano. Quantomeno la insinuano, specie se si pensa a cosa succede in altre parti del mondo, dove la qualità dell’aria è decisamente peggiore e l’impatto sui cambiamenti climatici del pianeta è certamente ben più devastante. A pagare il conto di tutto ciò non possono essere i cittadini che vivono e operano nelle aree marginali o periferiche della vecchia Europa, insomma oltre i varchi della ZTL.