Premierato: facciamo chiarezza
La riforma costituzionale è stata appena approvata dal Governo Meloni con un apposito disegno di legge, e già si è scatenato un fuoco di fila di critiche che appare quantomeno un po’ prematuro, se non del tutto strumentale.
Intanto perché si tratta – come è ovvio – di un disegno di legge costituzionale, e come tale dovrà affrontare il suo iter parlamentare, nel quale ogni eventuale modifica potrà essere proposta, discussa, e finanche approvata. Non mi interessa pertanto, in questa sede, entrare nel merito delle singole innovazioni alla nostra Costituzione, perché ci hanno già pensato – prima e molto più autorevolmente del sottoscritto! – numerosi opinionisti. Mi limiterò a citare le novità rispetto ad oggi, per poi svolgere qualche considerazione sul clima generale che si è creato attorno a questo tentativo di traghettare finalmente l’Italia nella cosiddetta “Terza Repubblica”.
Eccole, dunque: il Parlamento nei primi mesi del prossimo anno sarà chiamato a confrontarsi sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri (il cosiddetto “Premierato”), sull’impossibilità – di fatto – di creare Governi tecnici senza una legittimazione popolare, sulla norma “anti-ribaltone” che determinerà la fine anticipata della legislatura nel caso non sia possibile proseguire con un secondo Presidente del Consiglio della stessa maggioranza nell’attuazione del programma di governo, sul nuovo e necessario sistema elettorale che sia coerente con il premierato, che assicuri la stabilità per cinque anni e che, auspicabilmente, consenta ai cittadini di scegliere il proprio parlamentare di riferimento, sulla limitazione – infine – dei Senatori a vita ai soli ex Presidenti della Repubblica.
Tutti argomenti che meriterebbero un approfondimento ad hoc, che non escludo di proporre più avanti. Ciò che adesso trovo interessante commentare sono però – come dicevo – alcuni elementi di contesto. Mi limito a tre.
Il primo: la riforma costituzionale in senso presidenziale, per garantire stabilità all’esecutivo e assicurare centralità alla volontà popolare, era un punto del programma presentato agli Italiani in campagna elettorale dal centrodestra a guida Meloni. La sua introduzione, dunque, risponde all’esigenza di rispettare gli impegni con gli elettori, e da questo punto di vista si tratta di un elemento da rimarcare.
Il secondo: il Governo si è dimostrato aperto – come è corretto che sia, trattandosi di un intervento sulle “regole del gioco” – alle proposte delle minoranze, a cominciare da chi su questo tema hanno idee assimilabili. Penso al progetto del Sindaco d’Italia di Italia Viva, ma non solo. Allo stesso tempo, ha accantonato alcuni aspetti che avrebbero rimarcato ancora maggiormente il legame tra maggioranza parlamentare “uscita” dalle urne e Premier (e, indirettamente, Governo) eletto dai cittadini, rinunciando all’automatismo del voto anticipato in caso di caduta dell’esecutivo.
Infine, il terzo. Quello, a mio avviso, più importante: il Presidente Meloni ha chiarito di non voler in alcun modo legare l’esito di questa riforma costituzionale al destino del proprio Governo, legittimato – come dicevo – dal voto degli Italiani ormai più di un anno fa. Un Governo, dunque, di legislatura, che anche nel caso in cui un eventuale referendum costituzionale su tali modifiche dovesse avere esito negativo rimarrà in carica. Una scelta di buonsenso, lontana da chi invece in passato ha inteso il referendum costituzionale come un referendum sul proprio consenso. Una scelta che, a mio avviso, determinerà un finale diverso, in controtendenza rispetto al passato: perché gli Italiani, in quel caso, voteranno sì e porteranno la nostra Nazione fra le democrazie più avanzate, come Francia e Stati Uniti, nazioni in cui la tradizione democratica è saldamente costituita e nelle quali non si può dire che la minoranza non possa fare sentire la sua voce. Una volta si sarebbero chiamate “democrazie decidenti”. Quelle in cui dove chi vince le elezioni governa, chi perde controlla, se ne riparla dopo cinque anni e, comunque, solo dopo un voto e un mandato chiaro da parte degli elettori.