Ripensare e riorganizzare la sanità pubblica
La Legge 833 del 23 dicembre 1978 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, che si basa su tre principi cardine: l’universalità, l’uguaglianza e l’equità. Sancisce il concetto di salute inteso come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, come dettato dall’articolo 32 della Costituzione. È una tappa fondamentale per lo sviluppo della sanità italiana, che ancora oggi spicca in Europa e nel mondo per l’eccellenza delle sue prestazioni.
Perché questo breve excursus storico? Perché ieri c’è stato lo sciopero dei medici ospedalieri, una protesta che ha raggiunto un’adesione dell’85%. Scrive l’Ansa: “Secondo le stime dei sindacati, nella giornata di sciopero potrebbero essere saltati fino a 1,5 milioni di prestazioni sanitarie. Sono state garantite le prestazioni d’urgenza”. A quanto mi risulta (lo sottolineava ieri sera, per esempio, il direttore di Radio Capital Edoardo Buffoni) sono molti i medici che hanno aderito allo sciopero ma sono andati lo stesso al lavoro, senza timbrare e quindi rinunciando alla giornata di stipendio. Una dedizione alla causa che ricorda, se ancora ce ne fosse bisogno, che il nostro personale medico e infermieristico è eccezionale, e va celebrato anche se non siamo più, per fortuna, in emergenza pandemica.
Che la sanità pubblica sia in difficoltà è evidente, oggi non riesce a garantire i livelli di assistenza e le tempistiche di attesa dei primi anni, quando la struttura demografica italiana era diversa. Attribuire tutto questo al Governo attualmente in carica – che anzi, come il precedente, ha aumentato in termini assoluti il totale delle risorse pubbliche destinate al suo finanziamento – è come nascondersi dietro un dito. Il problema affonda le sue radici negli ultimi decenni e come tale va affrontato. Guardiamo al nostro Piemonte: le liste di attesa, come nelle altre Regioni, sono – usando un eufemismo – rivedibili e migliorabili, ma sono drasticamente diminuite durante la gestione Cirio.
La sanità pubblica non va ridimensionata né tantomeno va abolita, sia chiaro: va ripensata e riorganizzata, adeguandosi ai tempi. Esistono ancora aree di risparmio alla voce beni e servizi, mentre in fatto di personale “sul campo” ci sono carenze che vanno colmate. Se cambiano la situazione demografica, le condizioni sociali, la struttura economica di Stato e Regioni, il mondo del lavoro, lo sviluppo della scienza… la risposta può essere la stessa di 40 anni fa?
Ancora una volta, il mio approccio rifugge il tifo da stadio e gli estremismi: qui la ragione, laggiù la responsabilità. Servono invece equilibrio, ragionamento e prospettiva, perché la sanità pubblica deve essere un cardine della nostra Repubblica anche nel futuro, ma deve esserlo in modo adeguato e sostenibile. Anche in questo caso, si tratta di trasformare un problema in un’opportunità.