Sull’autonomia è il caso di rilanciare

Sul percorso avviato da alcune Regioni – Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna, in primis – sulla cosiddetta autonomia differenziata è necessario in via preliminare illustrare la cornice entro la quale si sta svolgendo la trattativa con il Ministero per gli Affari regionali.

Sono due le principali obiezioni da parte di quelli che potremmo definire i difensori dello status quo: per costoro, la riforma condannerà le Regioni del Meridione d’Italia ad essere ulteriormente svantaggiate, poiché in termini di residuo fiscale (la differenza tra le spese che lo Stato destina ad un determinato territorio e il gettito fiscale generato dalle tasse dei contribuenti di quello stesso territorio) sarebbe matematico che qualche Regione possa guadagnarci e qualche altra perderci; in più, verrebbe meno la coesione nazionale, con tanti piccoli staterelli in cui i servizi resi ai cittadini sarebbero di maggiore o minore qualità, efficacia ed efficienza.

Sulla prima obiezione, è sufficiente dire che lo Stato continuerà a dare a ciascuna Regione per lo svolgimento di una determinata nuova competenza (ai sensi dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione) le medesime risorse che lo Stato impiega già oggi per quella stessa competenza. Nè un euro in più, né un euro in meno. Starà poi ad ogni singola Regione impiegare al meglio quelle risorse: insomma, un primo passo in avanti in termini di responsabilità politica dei governatori e delle loro maggioranze.

In merito, invece, alla supposta proliferazione di piccoli Stati, ciascuno con le proprie eccellenze o le proprie criticità, beh, credo che si tratti semplicemente di osservare la realtà per verificare come, ad esempio sulla Sanità (che è la prima fonte di spesa per le Regioni) vi siano già oggi differenze notevoli fra le Regioni, cosa che dovrebbe stimolare una competizione positiva tra i territori.

Poiché, tuttavia, credo che il nostro compito non sia quello di difendere lo situazione odierna, ma al contrario di dare ulteriore impulso alla legittima richiesta di autonomia delle Regioni, sarebbe il caso di alzare la posta, introducendo tre elementi nel dibattito. 

In primo luogo, una riforma dello Stato in senso presidenziale, con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, da affiancarsi al maggiore grado di autonomia dei singoli territori; quindi, il tema finora mai considerato (neppure nel dibattito sul cosiddetto reddito di cittadinanza, ndr) del diverso costo della vita tra le Regioni ed entro le Regioni; infine, ma non meno importante, un vero federalismo fiscale, e cioè un’autentica autonomia, anche impositiva, per le Amministrazioni regionali, con la conseguente responsabilità politica (vedo, pago, voto) di chi le governa.

Ecco, credo che queste siano alcune delle riflessioni da offrire al dibattito di questi giorni sull’autonomia differenziata.