Tre considerazioni sul voto in Sardegna
Cosa ci dice il voto in Sardegna, con la vittoria – oggettivamente a sorpresa, seppur di una manciata di voti – di Alessandra Todde? Qualche considerazione in ordine sparso.
Prima considerazione: la politica è bella, emozionante. Come nel calcio, non bisogna dare nulla per scontato e il risultato rimane aperto fino all’ultimo.
Seconda considerazione: bisogna ascoltare la base, il territorio, sempre e comunque. Paolo Truzzu, sindaco uscente di Cagliari, ha perso nella sua città e in alcuni grandi centri della Sardegna. La lunga diatriba sul candidato del centro-destra, giocata a Roma e persino influenzata dai tribunali, unita a cinque anni di governo regionale non propriamente esemplare, non hanno fatto bene alla coalizione. Basta leggere le analisi su quanto sia stato decisivo il voto che una lettura superficiale definisce “disgiunto”, ma che in realtà è in larghissima parte un voto “diretto” al solo candidato Presidente: migliaia di voti – più di 60.000, quasi il 10% in più del totale dei voti alle liste – che sono andati in larghissima parte alla candidata delle sinistre e che, a conti fatti, hanno fatto la differenza. Dinamiche che – diciamolo subito – in Piemonte non si riproporranno, per almeno un paio di motivazioni oggettive ed una probabile. Qui, infatti, la ricandidatura di Alberto Cirio non è in discussione e il gradimento personale che riscuote il Presidente è a livelli molto alti, che travalicano i partiti. Basta chiedere in giro per averne conferma. A ciò si aggiunga che l’accordo tra PD e MS5, deciso a Roma e risultato vincente sull’isola, è difficilmente riproponibile in Piemonte, dove anzi PD e M5S stanno proseguendo con la logica del tira-e-molla.
Terza, e per ora ultima, considerazione: chi va (ancora) a votare (pochi – ma comunque non pochissimi! – in Sardegna) lo fa con una consapevolezza diversa rispetto alle aspettative dei sondaggi, soprattutto quando si tratta di un voto amministrativo, regionale o comunale. Un voto che, quasi per definizione, segue meno gli slogan della politica nazionale, e molto di più la capacità dei candidati alla carica più importante di essere davvero leader e di mobilitare persone e movimenti attorno alla propria piattaforma programmatica. Basta approfondire le percentuali dei partiti e all’incidenza sempre maggiore delle liste civiche per rendersene conto, perché non basta detenere un simbolo nazionale in franchising per “fatturare” classe dirigente all’altezza e consenso fra i cittadini.
La politica è bella ed emozionante, si diceva. E quando è capace di coinvolgere, è senza dubbio vincente.