Apriamo un dibattito pubblico sull’Ospedale di Chivasso (e sanità pubblica in generale): ci sono standard minimi di servizio ancora non garantiti?
Centoventicinque. È l’entità, in miliardi di euro, delle disponibilità finanziarie per il Servizio Sanitario nazionale. Circa il 12% della spesa pubblica complessiva della nostra Nazione, che come sappiamo dopo la pandemia ha abbondantemente superato i 1.000 miliardi annui.
È troppo? È troppo poco? Ci sono aree di efficienza ed economicità possibili? Al contrario, ci sono stati troppi “tagli” negli ultimi anni? Non penso sia lo spazio di poche righe quello idoneo ad affrontare il tema, quindi per ora non azzardo una risposta a quelle domande. Certo è, però, che quel centoventicinque è un dato significativo, da cui derivano – via via nelle Regioni e nelle Aziende Sanitarie, fino ai presidi ospedalieri e alla medicina territoriale – servizi e prestazioni per i cittadini. Che essendo, in tanti casi, anche contribuenti hanno tutto il diritto di poterne disporre ad un livello, diciamo, almeno essenziale su tutto il territorio.
Ho fatto questa premessa perché credo sia corretto partire dai numeri per entrare nel merito della giusta sollecitazione del dottor Libero Ciuffreda circa la qualità dell’organizzazione sanitaria e dell’offerta di salute che viene resa nel chivassese, a cominciare dall’attività dell’ospedale di Chivasso. Nel suo intervento, individua quelli che a suo parere sono i punti di forza e di debolezza del nostro sistema sanitario, mettendo gli operatori sanitari tra i primi e “la politica” fra i secondi. La sua, è chiaramente una semplificazione, necessaria per gli stessi motivi di brevità, che però risulta utile a descrivere sia la situazione generale della sanità pubblica, sia la situazione particolare, appunto, del Pronto Soccorso dell’ospedale di Chivasso. E dopo aver argomentato il proprio punto di vista, che è certamente autorevole vista la sua attività “sul campo” e la sua riconosciuta professionalità medica, il dottor Ciuffreda propone “un ampio dibattito pubblico” in merito ai servizi sanitari resi sul nostro territorio. Si tratta di una proposta opportuna e tempestiva. Che faccio mia, pur non avendo al momento particolari “titoli” per parlarne, né a livello di forze politiche chivassesi, né a livello istituzionale, eccezion fatta per quello di amministratore locale, peraltro di minoranza, nel mio Comune di residenza, e cioè Brusasco. E non ho neppure titoli per formazione professionale, visto che per lavoro mi occupo di numeri e non di medicina. Sono però un cittadino-contribuente, nonché utente, cui piace approfondire ogni aspetto dell’amministrazione della “cosa pubblica”. A cominciare, appunto, dall’organizzazione della sanità, che è di gran lunga la prima delega in termini di risorse pubbliche nel bilancio delle Regioni, ivi compresa naturalmente la Regione Piemonte. Insomma, la salute e la sanità sono tematiche che mi stanno a cuore, certamente per i numeri “in gioco” e per le implicazioni che hanno nella nostra comunità, ma anche – me lo si permetta – per l’esperienza personale e famigliare purtroppo vissuta nel “periodo-Covid”: esperienza che non ho mai condiviso pubblicamente solo ed esclusivamente perché ritengo che le Istituzioni vadano sempre rispettate, nel bene – ed è proprio il caso di dirlo – e nel male.
Nel corso di quel dibattito, se mai dovesse avere luogo, ci sarebbero numerosi argomenti da affrontare. Ne cito alcuni, frutto anche di sollecitazioni che mi sono giunte da più parti in questi mesi: dall’effettiva operatività (leggasi, spesa corrente aggiuntiva necessaria e al momento non prevista per il personale addetto) delle case della salute e di comunità, all’utilizzo ancora non definito degli spazi dell’ala storica dell’ospedale di Chivasso; dall’accesso cervellotico e potenziale fonte di caos nel traffico stradale a metà di un cavalcavia dello stesso nosocomio chivassese, all’impossibilità di prevedere ulteriori spazi per la degenza (e non solo) vista la sua localizzazione in centro città; dall’organizzazione dei servizi farmaceutici – con una città come Chivasso che, a differenza di Settimo e, in parte, di San Mauro (solo per considerare il nostro distretto dell’ASL TO4), ha una sola domenica al mese coperta dal servizio festivo – al servizio prelievi, che dal periodo covid nella TO4 è organizzato solo su prenotazione telefonica, mentre in altre città del nostro territorio provinciale è ad accesso diretto sulla base del proprio turno; dalle conseguenze per i servizi resi sul nostro territorio derivanti dalla prossima realizzazione dell’ospedale del Canavese nel luogo che verrà individuato, a quelle che verranno determinate dalla privatizzazione dell’ospedale di Settimo Torinese; infine, dal ruolo determinante dei medici di famiglia al rapporto con la sanità privata.
Questi argomenti trovano sempre più spazio sui giornali e sui settimanali locali. Ed è un bene, così come è un bene che, al contrario, vicende e inchieste legate al mondo della sanità pubblica rimangano limitate al doveroso diritto di cronaca, senza sottolineare chissà quali, ipotetici, e comunque del tutto leciti fino a prova contraria, legami con la politica locale. Lo dico perché, invece, c’è stato un periodo in cui i giornali facevano a gara nell’attribuire all’uno o all’altro esponente politico “padrinaggi” del tutto inesistenti, per il solo gusto di “sparare” un titolo e rendere più morbosa qualche riga di articolo. Anche qui, l’elemento autobiografico non può non ricondurmi alla vergognosa caccia all’iscritto a Società Aperta e, quindi, alla vicinanza politica all’Assessore Angelo Burzi, messa in atto qualche lustro fa da un quotidiano torinese nel raccontare la famosa vicenda-Odasso, con l’obiettivo di dimostrare ipotesi che nella realtà dei fatti erano semplicemente lunari. Oggi per fortuna non è più così, ed anche l’attenzione dei media è rivolta ad evidenziare da un lato le tante eccellenze della sanità pubblica, e dall’altro alcune sue criticità, chiedendo – qui sì, in modo corretto ed anzi doveroso – ai politici di fare il loro mestiere, occupandosene non solo quando si verifica un’emergenza, ma soprattutto in termini programmatori, tenendo d’occhio gli indicatori di risultato più rilevanti, quali le liste d’attesa, l’appropriatezza delle prestazioni, l’accessibilità della diagnostica. Insomma, studiando i dati, che sono accessibili a chiunque.
Dare la colpa a tutti i politici dei mali del mondo è certamente comodo. Magari è pure rassicurante, perché si tratta di un bersaglio facile che ci aiuta a dimenticare le nostre responsabilità individuali. Chiunque di noi, chi più chi meno, ci è cascato. Peccando di populismo, come si direbbe di questi tempi. Certo, è ben più difficile dibattere, confrontarsi, magari anche litigare, e arrivare alle soluzioni: ben venga, dunque, un’occasione di confronto la più ampia possibile. Col mio piccolissimo bagaglio di conoscenze su questo tema, dico al dottor Ciuffreda che mi rendo immediatamente disponibile. Ad ascoltare, capire, ragionare. E a lavorarci. Su posizioni certamente diverse, ma con il suo stesso obiettivo: la promozione della salute.
(Foto di: Quotidiano Canavese)