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Per Torino serve una candidatura politica. Adesso

Torino, provincia di Milano? Mettendo per un attimo da parte l’orgoglio tipicamente sabaudo, dovrei dire: magari! La provocazione contenuta fin dal titolo di un libro che è certamente ben noto ai lettori di questa testata giornalistica, e non solo, torna prepotentemente di moda, specie oggi a pochi mesi dal rinnovo dell’Amministrazione comunale e del Sindaco della Città, nonché Metropolitano. Qualcuno, molto più autorevole del sottoscritto, proprio in questi giorni ha parlato di Torino come di una città “senza visione politica”. Altri – e penso al recente saggio di Bagnasco, Berta e Pichierri – si chiedono retoricamente chi abbia “fermato Torino”. Il tutto, mentre la città meneghina si conferma come unica vera metropoli del nostro Paese, con il suo dinamismo economico, culturale, sociale e la sua forza attrattiva che rischia di ampliare ulteriormente il divario con il nostro capoluogo.

Sintetizzando, secondo questi osservatori della politica cittadina servirebbe una visione per far ripartire Torino: un assunto del tutto condivisibile, perché la nostra è una città che, da modello nazionale, nel corso degli ultimi anni è scivolata via via in una spirale negativa, bloccandosi, ripiegandosi su se stessa ed arretrando in una crisi innanzitutto di identità, in uno smarrimento di obiettivi strategici, da cui non riesce a liberarsi con interventi decisivi e fondate ipotesi risolutive.

Si tratta, dunque, di mettere a fuoco una visione, articolata in programmi e soluzioni, che dovrà essere immaginata e spiegata nei mesi che ci separano dal turno amministrativo della prossima primavera, quando i torinesi dovranno individuare con il loro voto la squadra che avrà la responsabilità di guidare la città nel successivo quinquennio. E quando entreranno in gioco i partiti, le associazioni, i movimenti, i comitati che hanno animato e animano il dibattito cittadino, con le persone che tengono vive tutte queste organizzazioni.

Per il centrodestra, per i partiti della mia parte politica, a cominciare da Forza Italia, si tratta di un’occasione straordinaria per costruire un’offerta politica, in termini di squadra e di programma, finalmente in grado di competere per la guida del Comune e della Città metropolitana, configurandosi come l’alternativa di buon governo tanto al PD e agli altri partiti della sinistra, quanto alle sirene grilline: forze politiche queste ultime che, peraltro, sono in fase di avvicinamento anche a livello locale, con la concreta possibilità di un accordo su un candidato a sindaco proveniente dalla cosiddetta “società civile”.

Che fare, allora, per non sprecare questa occasione? Al di là delle facili ed ovvie suggestioni su questo o quel candidato civico o televisivo, suggestioni che si ripetono ormai da troppi mesi senza un’effettiva e tempestiva decisione in tal senso, come centrodestra torinese dobbiamo rispondere a ciò di cui vi è una vitale necessità soprattutto nell’epoca nuova purtroppo drammaticamente inaugurata dalla cosiddetta pandemia. La necessità, cioè, di politica, intesa in un senso non troppo alto da risultare astratta e tecnicistica, ma neppure così basso da rasentare la nullità e il vuoto di chi voleva aprire le Istituzioni come una “scatoletta di tonno” e si è ritrovato in un amen ad essere una casta e lontano anni luce dalle esigenze vere dei cittadini.

Ecco perché ritengo che, per affrontare le prossime elezioni torinesi da vincenti, noi si debba proporre alla Città un candidato o candidata a Sindaco, conosciuto e riconosciuto per il suo percorso nelle istituzioni locali e nazionali. Un candidato estratto dalla società civile, come un coniglietto dal cappello di un mago, oggi correrebbe infatti il rischio di porsi al di sotto delle aspettative persino della stessa società civile, per non dire dell’intera collettività, che invece segnalano un crescente bisogno di classe dirigente autentica e preparata, con esperienza di governo “sul campo”, in grado di sedere con autorevolezza a tutti i tavoli di rappresentanza dei legittimi interessi locali, così come di muoversi nelle piazze delle periferie e nella vasta provincia metropolitana.

Per queste ragioni sono convinto che ad una scelta tecnica, effettuata non si sa bene quando su un tavolo nazionale, si debba preferire una scelta politica, certamente immediata e auspicabilmente frutto di un accordo tutto “torinese”. Far politica oggi è difficilissimo, ma qualche cavallo di razza nei partiti del centrodestra c’è. E allora perché non metterlo subito in pista nella corsa che ha per traguardo Palazzo Civico? Occupiamocene, perché forse siamo ancora in tempo per evitare a Torino un destino non tanto di provincia, quanto di periferia di Milano.

Decreto Semplificazioni, a Torino si investa su stadio “Grande Torino”

Con la conversione del decreto legge 76, comunemente conosciuto come ‘decreto semplificazioni’, avvenuta qualche ora fa nell’aula di Montecitorio, è diventata legge con l’articolo 55 bis una norma aggiuntiva che impatterà in modo importante sugli impianti sportivi delle nostre Città. Tale modifica al testo originario, approvata in Commissione da una parte della maggioranza e dall’intero centrodestra, peraltro con il voto contrario del M5S, ha infatti introdotto la facoltà di intervenire sulle strutture degli impianti sportivi utilizzati da società professionistiche, derogando alle previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio contenute nel decreto legislativo 42 del 2004.

Nello specifico, la legge da oggi consentirà alle Amministrazioni comunali delle principali città italiane di dare il via libera all’ammodernamento dei loro stadi e centri sportivi, finalizzando tali interventi a garantirne la fruibilità in termini di sicurezza, di salute e incolumità pubbliche, nonché in termini di adeguamento agli standard internazionali e della loro sostenibilità economico-finanziaria.

A Firenze si è aperto un dibattito sulle opportunità che tale previsione normativa potrà generare per l’Artemio Franchi’, su cui il Presidente della Fiorentina Commisso, in qualità di concessionario dell’impianto, ha intenzione di investire. Con il consenso interessato del proprietario, e cioè il Comune di Firenze. E in Italia vi sono altri progetti di rinnovamento di impianti già esistenti, da Genova a Bergamo, da Parma a Ferrara, passando per Sassuolo. Ma nessuno riguarda la nostra Città e il destino dello stadio ‘Grande Torino’.

La sua valorizzazione patrimoniale e la sua parziale trasformazione in un impianto più moderno e più attrattivo anche dal punto di vista economico dovrebbero, invece, costituire aspetti prioritari sia per il proprietario, e cioè Palazzo Civico, sia per chi lo utilizza a fronte di un contratto di affitto, e cioè la società Torino FC.

L’approvazione odierna di questa particolare norma del decreto semplificazioni offre, dunque, un’opportunità importante per la nostra Città, sia in termini di investimento diretto su un bene del patrimonio comunale, sia in termini di ricadute per il sistema sportivo, e non solo: sono certo che il Sindaco di Torino Chiara Appendino e il Presidente del Torino FC Urbano Cairo, che dovrebbero essere i più interessati ad approfondirne le potenzialità, faranno tutti passi necessari per dare corso a tale progettualità.

Fisco, il servizio INPS inadeguato mette in seria difficoltà contribuenti e professionisti

A distanza di una settimana dalla prima scadenza relativa ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali – sospesi con i provvedimenti che, via via, sono stati approvati per fronteggiare l’emergenza Covid – l’INPS non ha ancora aggiornato il suo portale rispetto a quanto disposto dall’articolo 97 del decreto agosto. 

Quando mancano solo sette giorni al 16 settembre, infatti, i professionisti non sono ancora in grado di optare per la rateizzazione più favorevole ai loro clienti-contribuenti, quella cioè che, introdotta appunto da qualche settimana con l’ultimo dl, consente il pagamento dell’acconto del 50% del dovuto in quattro rate entro il 2020, e il saldo del restante 50% nei ventiquattro mesi successivi. 

A tale inadempimento da parte di un’amministrazione pubblica, si somma anche il fatto che, sollecitati in tal senso tramite mail, telefonate e richieste di appuntamenti, il risultato finale sia solo un silenzio assordante. 

Abbiamo numerosi esempi di strutture pubbliche che con le disposizioni relative allo smart working hanno continuato ad erogare servizi alla collettività secondo standard adeguati: mi pare, al contrario, che l’INPS abbia performance molto deludenti, e il caso del mancato aggiornamento della procedura dei pagamenti rispetto ad una disposizione di legge non fa che confermarlo.

Referendum, verso il no perché è un taglio della rappresentanza territoriale

Forza Italia in questi giorni riunirà l’ufficio di Presidenza e stabilirà la linea ufficiale del nostro Movimento. Sul tema, ieri il Presidente Berlusconi ha anticipato la posizione che ritengo più corretta, quella cioè di ribadire l’assoluta libertà di voto per i nostri militanti e per gli eletti nelle Istituzioni. Per quanto mi riguarda, le condizioni che mi avevano portato in Aula a votare per il sì alla riduzione del numero dei Parlamentari, seguendo le indicazioni del mio gruppo e in coerenza con la riforma costituzionale del Governo Berlusconi del 2006, sono oggi radicalmente mutate, perché nel frattempo nulla è stato previsto per la modifica dei regolamenti parlamentari e, soprattutto, perché il dibattito sulla nuova legge elettorale è fermo all’abolizione dei collegi uninominali, cosa di per sé inaccettabile.

Non ho pertanto ancora deciso, ma sono orientato a votare contro una modifica della Costituzione che riduce la rappresentanza territoriale e non si configura come un intervento organico di revisione della nostra architettura istituzionale. Ad esempio, tale modifica non risolve il tema della governabilità, che oggi è dirimente per far funzionare al meglio lo Stato, magari attraverso l’introduzione dell’elezione diretta del Premier, per cui penso davvero che i tempi siano ormai maturi. In più, un Parlamento ridotto e selezionato tramite una legge proporzionale senza preferenze, come è nelle intenzioni dell’attuale maggioranza di sinistra, sottrarrebbe del tutto ai cittadini la possibilità di scegliere il proprio parlamentare di riferimento, trasformando di fatto le elezioni in nomine.

E’ evidente che chi, come il sottoscritto, è diventato deputato per la prima volta in virtù della vittoria in un collegio uninominale, andando al di là della sommatoria dei voti dei partiti che lo hanno sostenuto, e grazie anche ad un rapporto stretto con il territorio frutto di una lunga gavetta, non può che contrastare la logica tecnocratica della scelta affidata ad una piattaforma web o, perché no, ad un algoritmo. Perché è su questo sentiero pericoloso che ci stanno portando Conte, Di Maio, Casaleggio e compagnia. Per costoro, pollice verso.

Due importanti interventi in Aula alla Camera

Ho avuto dal mio gruppo parlamentare la responsabilità di due importanti interventi in Aula, entrambi su questioni di Bilancio dello Stato. Trovate di seguito gli interventi integrali.

  1. Forza Italia ha votato NO al Rendiconto Generale dello Stato presentato dal Governo. Con la dichiarazione di voto a nome del gruppo parlamentare, ho illustrato in Aula le ragioni di questo no. Trovate l’intervento integrale nel video che segue.

 

 

2. Intervento in Aula durante la discussione generale sull’assestamento di Bilancio per l’anno 2020.

 

Castelli e Misiani, parole in libertà che rischiano di aggravare i problemi

Prima il Viceministro Castelli che consiglia ai ristoratori di trovare nuovi business o, per dirla con le parole dello chef Vissani, di fare “la cucina in smart working”; poi il sottosegretario Misiani che consiglia alle partite IVA di non lamentarsi più di tanto e di farsi carico di pagamenti di tasse e tributi pur essendo stremati da mesi di mancati incassi… Insomma, negli ultimi due giorni è apparsa in tutta la sua evidenza una posizione pregiudizialmente ostile nei confronti dei lavoratori autonomi da parte degli esponenti dei due maggiori partiti dell’attuale Governo, M5S e PD.

Tutto ciò, oltre a contribuire a deprimere ulteriormente l’economia reale del nostro Paese, rischia di alimentare in maniera altrettanto pericolosa la contrapposizione tra chi alza la saracinesca tutte le mattine e chi ha la fortuna di ricevere (ancora) uno stipendio. E, fra questi ultimi, tra i dipendenti pubblici e tra i dipendenti del privato, il cui posto di lavoro è comunque sempre esposto alle dinamiche del mercato. Noi, come rappresentanti politici, sentiamo la responsabilità di dover difendere i legittimi interessi di tutti, in particolare di chi, creando ricchezza come la straordinaria classe imprenditoriale del nostro Paese, contribuisce in modo decisivo al mantenimento delle Istituzioni.

Noi sosteniamo gli imprenditori perché è nell’interesse dell’Italia e di tutti gli italiani.

DL Liquidità

Una sintesi del lavoro fatto sul Decreto Legge Liquidità

Forza Italia ha ottenuto, coerentemente con il sollecito ricevuto in merito dalle principali associazioni del commercio e PMI, una riformulazione rispetto alla disciplina dei mini-prestiti bancari garantiti al 100% dallo Stato, il cui importo è stato aumentato da un massimo di 25.000 € a un massimo di 30.000 €, con il contestuale allungamento della durata per la restituzione, passata da 6 a 10 anni.Un intervento importante, che garantirà un sensibile aumento rispetto ai tempi di rimborso, elemento quest’ultimo importante per imprenditori ed esercenti posti di fronte alla possibilità di indebitarsi o meno con tempi limitati per il rientro dall’esposizione bancaria.

Da segnalare, poi, il fatto che per i finanziamenti concessi precedentemente i soggetti beneficiari possano chiedere l’adeguamento del finanziamento alle nuove condizioni. La stessa logica, grazie ad un altro emendamento proposto dal gruppo di Forza Italia, si è applicata ai prestiti più ingenti: anche per questa tipologia di finanziamenti è stata infatti aumentata la durata, portandola fino a 30 anni nel caso di garanzia del Fondo di Garanzia PMI all’80%. Sempre rispetto al Fondo PMI, abbiamo esteso anche in favore delle reti d’impresa la previsione che ammette la possibilità di conferire risorse per creare sezioni speciali finalizzate a sostenere l’accesso al credito come filiera.
In termini di lavoro direttamente d’interesse del territorio piemontese, sono particolarmente soddisfatto di aver fatto includere le Province di Alessandria ed Asti nella classificazione delle zone rosse: ciò, da un lato consente l’estensione della sospensione dei versamenti IVA nei mesi di aprile e maggio 2020 in favore delle imprese o dei professionisti con sede in quei territori che abbiano registrato un calo di almeno il 33% del volume d’affari rispetto all’anno scorso, senza ulteriori vincoli; dall’altro lato, crea un precedente importante che mette le basi per allargare questo beneficio anche ad altre Province del Piemonte, a partire da Torino, magari con un intervento nel DL Rilancio.

Alcuni emendamenti, infine, sono stati approvati rispetto al tema della cosiddetta “garanzia Italia”, prevista a carico di SACE. Ci siamo, infatti, impegnati per definire contorni più chiari per l’ottenimento della garanzia SACE, ad esempio introducendo l’obbligo per cui, ai fini dell’accesso alla garanzia, le imprese debbano impegnarsi a non delocalizzare le produzioni.
In più, abbiamo previsto l’estensione della possibilità di accedere allo strumento dei finanziamenti garantiti dal DL Liquidità anche alle società tra professionisti e le associazioni professionali, ovviamente a partire dal momento in cui avranno terminato la loro capacità di accesso al Fondo PMI (pari, fino al 31 dicembre 2020, a 5 milioni di euro), come già previsto per le PMI, inclusi i lavoratori autonomi e i liberi professionisti titolari di partita IVA.

 

La battaglia per la giustizia giusta è interesse di tutti, oggi più che mai

Inverosimilità delle accuse, tre gradi di giudizio in meno di un anno, applicazione retroattiva della Legge Severino, voto palese al Senato per tentare di espellere un leader dalla scena politica, non essendo in grado di farlo tramite elezioni: a noi di Forza Italia fin dall’inizio è stata chiarissima l’azione del plotone di esecuzione contro il Presidente Berlusconi, che oggi finalmente emerge (anche) dalle parole dell’allora Giudice Relatore della Corte di Cassazione Franco.
La battaglia per una giustizia giusta e per il garantismo deve continuare, per sanare una grave ferita nella democrazia italiana e per evitare che anche un solo italiano sia vittima di un sistema da riformare profondamente, iniziando dalla separazione delle carriere e dalla responsabilità civile per gli errori giudiziari. Oggi l’Italia non deve dividersi in base a legittime differenti opinioni politiche. Quanto accaduto ieri al Presidente, può accadere oggi o domani a qualunque cittadino. È nel nome di un corretto ruolo della giustizia che oggi dobbiamo dirci, più che mai, tutti berlusconiani.

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Scuola, Giacometto (FI): il piano del Governo è del tutto insufficiente, oltre che in ritardo

Sulla riapertura delle scuole a settembre, il Governo ha prodotto al momento soltanto dubbi e incertezze. Ed è in grave ritardo. Dopo mesi, infatti, il Ministro Azzolina ha finalmente redatto le linee guida nazionali, che nei prossimi giorni dovranno essere condivise con le Regioni. Tuttavia, questa lunga attesa cui hanno costretto studenti, insegnanti, operatori scolastici, oltreché tutti coloro i quali considerano la formazione scolastica come un investimento determinante per la crescita di un Paese, non ha portato a significative e particolari soluzioni, limitandosi a mere indicazioni generali, che peraltro si limitano a riprendere le misure di sicurezza sanitaria del Comitato tecnico scientifico. Ecco perché è lecito chiedersi: qual è il motivo di un tale ritardo? Perché questo documento non è stato validato con tutti i soggetti coinvolti mesi fa, consentendo così agli istituti scolastici di adottare i necessari interventi con un minimo di programmazione?

La verità è che questo Governo, anche su un tema così strategico come quello dell’istruzione, vive alla giornata, senza una vera assunzione di responsabilità politica delle proprie scelte e delegando, via via, ad altri soggetti l’indicazione delle modalità operative.

Infatti, l’unica novità di questa bozza di piano scuola è la sua declinazione territoriale, attraverso l’attivazione di tavoli regionali e il coinvolgimento diretto degli enti locali. Se, da un lato, ciò significherà un maggiore grado di autonomia per i singoli istituti scolastici in termini di orari, composizione delle classi, nuovi spazi da destinare alle lezioni frontali, eventuale ripresa della didattica a distanza per gli studenti delle superiori, dall’altro lato determinerà un aumento delle responsabilità dei dirigenti. Questi ultimi, secondo il piano-Azzolina, dovranno, ad esempio, individuare e incaricare alcune figure tecniche competenti per la gestione degli spazi e dei flussi degli studenti, oltre a professionisti sanitari, con risorse di cui non si ha traccia. E dovranno farlo correndo il rischio di non essere tutelati dalle conseguenze civili e penali delle proprie decisioni, visto che nel documento non c’è la previsione di una norma che abbia tale finalità. Se poi, come nel caso dei dirigenti scolastici del Piemonte, costoro dovessero continuare a non vedersi riconosciute neppure le indennità di risultato 2017/2918 previste dal contratto integrativo, secondo la tempistica del MIUR, ecco che al danno eventuale potrebbe sommarsi la beffa reale.

DL Rilancio, è necessario consentire l’accesso al fondo perduto ai liberi professionisti

La cifra del disinteresse dell’attuale Governo nei confronti del mondo delle libere professioni è data dalla totale assenza, in questi mesi così complicati, di un piano d’azione a supporto di quella categoria di lavoratori. L’avvisaglia è stata, fin da subito, la norma del “Cura Italia” che aveva messo in forte dubbio la possibilità di ottenere l’indennità da 600 euro: bonus poi erogato, ma non all’intera categoria professionale, avendo deciso di vincolare lo strumento a limiti di reddito derivanti da annualità pregresse. Una scelta illogica, visto che i mancati incassi di quest’anno sono certamente incomparabili con l’attività lavorativa degli anni precedenti.

A ciò si è aggiunto, con l’articolo 25 del decreto cosiddetto “Rilancio” e la conseguente circolare dell’Agenzia delle Entrate, il mancato accesso al contributo a fondo perduto, di cui possono beneficiare solo i professionisti aderenti a società, con l’incomprensibile e iniqua esclusione dei professionisti iscritti alle casse che svolgono la propria attività individualmente.

Anziché ringraziare un’intera categoria, che in questi mesi di lockdown ha lavorato ininterrottamente per aiutare l’Italia intera a gestire la piena emergenza, il Governo vuole continuare a considerare i liberi professionisti come lavoratori di serie B? Si tratta di commercialisti, avvocati, architetti e ingegneri, che hanno svolto la propria attività con la consueta professionalità e dedizione, affiancando i propri clienti e aiutandoli a comprendere e gestire il dedalo di norme, il più delle volte complesse e di non immediata applicazione, che il legislatore ha via via messo in campo.

Il primo passo è iniziare a rispettare il valore del lavoro di quei professionisti che, con la propria partita iva, aiutano e sostengono giorno per giorno la complessa macchina burocratica statale, senza, magari, incassare nulla, modificando in fretta la norma. Ad oggi, infatti, si vive il paradosso per cui, ad esempio, un commercialista è tenuto a presentare la pratica del contributo a fondo perduto per un proprio cliente, ma non può richiederla per se stesso. E allora è lecito chiedersi: qual è il giusto valore da attribuire a questa pratica, tenuto conto che il professionista sta svolgendo un lavoro ma la persona che richiede il contributo si trova in un’evidente condizione di difficoltà economica?