Negli ultimi giorni il dibattito in Città è ruotato attorno ad alcuni fatti, che cercherò di mettere in ordine e che, a mio avviso, sono strettamente legati tra di loro.
Il primo, la rinuncia alla candidatura a sindaco per il centrosinistra da parte del rettore del Politecnico Guido Saracco; poi, una serie di interventi sui media locali, caratterizzati dal leit motiv secondo cui in questi anni la nostra area metropolitana sarebbe stata caratterizzata da una classe dirigente non all’altezza, specie nel mondo politico; successivamente, la presentazione del XXI Rapporto “Giorgio Rota” su Torino, a cura del Centro Einaudi, che ha evidenziato come in fatto di attrattività – sia con riguardo alle persone, sia in termini di attività d’impresa – nell’ultimo decennio il nostro capoluogo abbia perso notevoli posizioni nei confronti delle altre metropoli del nord, con tutto ciò che ne è conseguito dal punto di vista della (de)crescita economica; ultimo, ma non meno importante, l’esito di un sondaggio commissionato dal notaio Ganelli relativo agli orientamenti elettorali in vista del prossimo turno amministrativo della primavera 2021, che Lo Spiffero ha pubblicato proprio ieri in via esclusiva.
Qual è il legame tra gli aspetti che ho testé elencato? A me sembra evidente una straordinaria richiesta di politica, nel senso più alto del termine. Quella che sa analizzare lo scenario, perché ha esperienza amministrativa; quella che individua le priorità e che trova un punto di equilibrio fra i vari interessi, alcune volte anche fra loro contrapposti; quella che valorizza i punti di forza, che ricerca soluzioni ed è orientata all’execution, e non alla mera elencazione delle criticità, che peraltro sono ormai ben note; quella, infine, che si forma attraverso il processo, spesso cruento e sì, anche meritocratico, della gavetta nelle sezioni e nelle aule consiliari.
La stessa richiesta di politica e di “politici” che emerge proprio dall’ultimo dei fatti che ho elencato all’inizio: il sondaggio per la contesa elettorale di Torino 2021. Un dato, infatti, balza, subito agli occhi: la notevole performance in termini di visibilità, che poi facilmente si può tramutare in grado di fiducia, nei confronti dei potenziali contendenti per la candidatura a sindaco fra chi in questo momento della propria vita professionale si occupa in modo prevalente di politica, a scapito dei vari esponenti della cosiddetta società civile. Ciò sia per il centrosinistra (e il ritiro dalla corsa di Saracco è un indicatore significativo, in tal senso), sia per il centrodestra. Che dovrebbe, per una volta, anticipare i tempi e far scendere in campo portabandiera e squadra per la Città in netto anticipo rispetto alla sinistra del partito di Grillo e al centrosinistra a guida PD, oggi di fronte al bivio se replicare anche qui la maggioranza giallorossa o andare ognuno per la propria strada, gli uni attivando le loro consultazioni farlocche sul web, gli altri attraverso le primarie ai gazebo.
E proprio leggendo quei dati dal mio punto di vista, da esponente del partito che ha fondato il centrodestra, un ulteriore elemento che emerge dal sondaggio è la tuttora alta propensione dei torinesi al cambiamento, sia rispetto alle giunte di centrosinistra che si sono succedute ininterrottamente dal 1993 al 2016, sia rispetto all’attuale monocolore Cinquestelle, sia, infine, rispetto a quello che potrebbe essere la sinistra del futuro, frutto dell’accordo PD-M5S. Un’occasione, dunque, da cogliere per la coalizione del centrodestra cittadino, come ha giustamente sottolineato proprio in questi giorni il Presidente Berlusconi nei suoi colloqui con i vertici del mio partito a Torino e in Piemonte.
In un contesto del genere, dunque, la notorietà del “politico” Claudia Porchietto, alta anche fra gli elettori degli schieramenti avversi, potrebbe rappresentare quel valore aggiunto decisivo per alimentare le chance di vittoria del centrodestra, specie al ballottaggio, dove il vincolo con il partito viene meno e l’elettore tende a far prevalere il giudizio sulla persona. Sia del singolo, sia della squadra che vorrà con sé. Non solo: anche il dato dei partiti al primo turno, che storicamente nel campo del centrodestra fa prevalere la sommatoria dei voti delle singole liste, è sostanzialmente coincidente con quello della candidata indicata nel sondaggio. Infine, il mercato elettorale degli indecisi, soprattutto fra gli ex elettori dell’attuale sindaco, che rappresenta un bacino interessante per uno schieramento che, se unito, a Torino può e deve farsi trovare pronto all’appuntamento con il cambiamento, non avendo mai il centrodestra avuto l’onore e l’onere di amministrare Palazzo Civico (e Palazzo Cisterna).
Come spesso abbiamo detto in passato, vincere le elezioni è però solo il primo tempo di una partita ben più lunga e ben più difficoltosa. E’ necessario “vincere” anche il secondo tempo, cioè la sfida del governo, in questo caso del Comune di Torino e della sua Città Metropolitana. Con un programma credibile, con obiettivi realizzabili e mettendo in campo una “visione” per il futuro di questo nostro territorio. Il centrodestra in generale, e Forza Italia in particolare hanno tra le proprie file politici in grado di farlo, sia in termini di leadership, sia in termini di squadra a supporto, sia in termini di capacità di elaborazione di idee? Forse con un po’ di presunzione, dopo aver vissuto tutta la stagione del mio partito a Torino e nella sua provincia dal 1994 ad oggi, posso affermare che sì, una classe dirigente con quelle caratteristiche si è formata, seppur nella stragrande maggioranza dei casi attraverso ruoli all’opposizione. Ma dopo aver vinto, e aver dimostrato di saper ben governare città un tempo inespugnabili, come ad esempio Orbassano, è il momento di mettere alla prova quella classe dirigente anche a Torino, guardando principalmente al nostro interno.