Scuola, Giacometto (FI): il piano del Governo è del tutto insufficiente, oltre che in ritardo

Sulla riapertura delle scuole a settembre, il Governo ha prodotto al momento soltanto dubbi e incertezze. Ed è in grave ritardo. Dopo mesi, infatti, il Ministro Azzolina ha finalmente redatto le linee guida nazionali, che nei prossimi giorni dovranno essere condivise con le Regioni. Tuttavia, questa lunga attesa cui hanno costretto studenti, insegnanti, operatori scolastici, oltreché tutti coloro i quali considerano la formazione scolastica come un investimento determinante per la crescita di un Paese, non ha portato a significative e particolari soluzioni, limitandosi a mere indicazioni generali, che peraltro si limitano a riprendere le misure di sicurezza sanitaria del Comitato tecnico scientifico. Ecco perché è lecito chiedersi: qual è il motivo di un tale ritardo? Perché questo documento non è stato validato con tutti i soggetti coinvolti mesi fa, consentendo così agli istituti scolastici di adottare i necessari interventi con un minimo di programmazione?

La verità è che questo Governo, anche su un tema così strategico come quello dell’istruzione, vive alla giornata, senza una vera assunzione di responsabilità politica delle proprie scelte e delegando, via via, ad altri soggetti l’indicazione delle modalità operative.

Infatti, l’unica novità di questa bozza di piano scuola è la sua declinazione territoriale, attraverso l’attivazione di tavoli regionali e il coinvolgimento diretto degli enti locali. Se, da un lato, ciò significherà un maggiore grado di autonomia per i singoli istituti scolastici in termini di orari, composizione delle classi, nuovi spazi da destinare alle lezioni frontali, eventuale ripresa della didattica a distanza per gli studenti delle superiori, dall’altro lato determinerà un aumento delle responsabilità dei dirigenti. Questi ultimi, secondo il piano-Azzolina, dovranno, ad esempio, individuare e incaricare alcune figure tecniche competenti per la gestione degli spazi e dei flussi degli studenti, oltre a professionisti sanitari, con risorse di cui non si ha traccia. E dovranno farlo correndo il rischio di non essere tutelati dalle conseguenze civili e penali delle proprie decisioni, visto che nel documento non c’è la previsione di una norma che abbia tale finalità. Se poi, come nel caso dei dirigenti scolastici del Piemonte, costoro dovessero continuare a non vedersi riconosciute neppure le indennità di risultato 2017/2918 previste dal contratto integrativo, secondo la tempistica del MIUR, ecco che al danno eventuale potrebbe sommarsi la beffa reale.

DL Rilancio, è necessario consentire l’accesso al fondo perduto ai liberi professionisti

La cifra del disinteresse dell’attuale Governo nei confronti del mondo delle libere professioni è data dalla totale assenza, in questi mesi così complicati, di un piano d’azione a supporto di quella categoria di lavoratori. L’avvisaglia è stata, fin da subito, la norma del “Cura Italia” che aveva messo in forte dubbio la possibilità di ottenere l’indennità da 600 euro: bonus poi erogato, ma non all’intera categoria professionale, avendo deciso di vincolare lo strumento a limiti di reddito derivanti da annualità pregresse. Una scelta illogica, visto che i mancati incassi di quest’anno sono certamente incomparabili con l’attività lavorativa degli anni precedenti.

A ciò si è aggiunto, con l’articolo 25 del decreto cosiddetto “Rilancio” e la conseguente circolare dell’Agenzia delle Entrate, il mancato accesso al contributo a fondo perduto, di cui possono beneficiare solo i professionisti aderenti a società, con l’incomprensibile e iniqua esclusione dei professionisti iscritti alle casse che svolgono la propria attività individualmente.

Anziché ringraziare un’intera categoria, che in questi mesi di lockdown ha lavorato ininterrottamente per aiutare l’Italia intera a gestire la piena emergenza, il Governo vuole continuare a considerare i liberi professionisti come lavoratori di serie B? Si tratta di commercialisti, avvocati, architetti e ingegneri, che hanno svolto la propria attività con la consueta professionalità e dedizione, affiancando i propri clienti e aiutandoli a comprendere e gestire il dedalo di norme, il più delle volte complesse e di non immediata applicazione, che il legislatore ha via via messo in campo.

Il primo passo è iniziare a rispettare il valore del lavoro di quei professionisti che, con la propria partita iva, aiutano e sostengono giorno per giorno la complessa macchina burocratica statale, senza, magari, incassare nulla, modificando in fretta la norma. Ad oggi, infatti, si vive il paradosso per cui, ad esempio, un commercialista è tenuto a presentare la pratica del contributo a fondo perduto per un proprio cliente, ma non può richiederla per se stesso. E allora è lecito chiedersi: qual è il giusto valore da attribuire a questa pratica, tenuto conto che il professionista sta svolgendo un lavoro ma la persona che richiede il contributo si trova in un’evidente condizione di difficoltà economica?

Decreto “Rilancio”, Forza Italia si fa portavoce delle legittime richieste delle Regioni

In questi giorni abbiamo registrato la volontà del Governo Conte di richiedere al Parlamento l’autorizzazione per un terzo scostamento di bilancio. Tali risorse aggiuntive si andrebbero a sommare ai 75 miliardi indirizzati alla copertura delle misure contenute nel “Cura Italia” e nel cosiddetto decreto “Rilancio”, che sta affrontando la sua prima lettura alla Camera.

Si tratta, secondo gli esponenti giallorossi che si stanno occupando di questo dossier, di circa 10 miliardi di extradeficit per l’anno in corso, buona parte dei quali da impiegare per ristorare ulteriormente gli enti locali, cioè principalmente i Comuni, che in questa fase sono oggettivamente gravati da un drammatico crollo delle entrate tributarie, e non solo.

E’ certamente un intervento importante, che però può e deve essere migliorato, prevedendo che una quota significativa di quel deficit aggiuntivo vada a compensare anche le mancate entrate delle Regioni, enti territoriali che hanno impiegato ingentissime risorse dei propri bilanci, prima per affrontare l’emergenza sanitaria e adesso per fronteggiare la crisi economica determinata dal lockdown.

Ecco perché, insieme alla collega Claudia Porchietto, ho presentato alcuni emendamenti all’articolo 111 del decreto “Rilancio” che hanno l’obiettivo di salvaguardare i bilanci regionali e che accolgono, tra gli altri, l’appello del Presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio. Siamo certi che il Governo dimostrerà con i fatti, sostenendo le nostre proposte emendative, la propria attenzione al sistema degli enti territoriali del nostro Paese.

E’ inaccettabile l’esclusione dei professionisti dai contributi al fondo perduto

Dalla lettura del testo – finalmente definitivo – del cosiddetto Decreto Rilancio abbiamo appreso che, con l’articolo 25, il Governo Conte ha disposto l’esclusione di tutti i professionisti iscritti agli ordini e ai collegi dai contributi a fondo perduto, previsti per gli autonomi e per le imprese che nel mese di aprile di quest’anno abbiano registrato un calo superiore a un terzo del fatturato rispetto allo stesso mese del 2019.

Perchè la sinistra vuole punire una categoria che conta 2,3 milioni di lavoratori, che hanno peraltro svolto un ruolo di cruciale utilità in questi mesi, accompagnando cittadini e aziende nella quantomai complessa burocrazia che continua a caratterizzare il rapporto dei cittadini e delle imprese con lo Stato?

Un ruolo riconosciuto dallo stesso Governo, che quando ne ha avuto bisogno ha incluso i professionisti nelle “categorie essenziali”. Essenziali solo finché servono, a quanto pare. E’ inaccettabile privare di un aiuto concreto una tra le fasce piu’ colpite da questa crisi, già penalizzata fortemente nel corso della quarantena con misure di supporto irrisorie.

Gli esponenti dell’attuale Governo si rendono conto che esistono migliaia di studi professionali che hanno importanti ricadute occupazionali sui propri territori? E’ urgente che si provveda ad eliminare questa esclusione, quanto mai errata nel principio e scorretta nella sua applicazione.

Rilancio del settore automotive, il grande assente nel DL cosiddetto Rilancio

Il crollo del mercato auto in Italia non è stato ritenuto sufficiente dal Governo per inserire un provvedimento nel decreto, si fa per dire, “rilancio” a favore del settore automotive. E’ un fatto grave, perché abbiamo assistito ad un crollo del mercato auto in Italia nel mese di aprile del 97,5 per cento, il maggiore dell’intera Ue.

Abbiamo sentito il grido di allarme delle associazioni di categoria, Anfia in primis, che hanno denunciato la condizione di stop totale alle filiere come un caso sostanzialmente unico in Europa, il che ha generato e genera rischi relativi a perdite di importanti commesse. Abbiamo visto le proiezioni, che ci parlano di un rischio di perdita di 30.000 posti di lavoro (dati Unrae).

In un quadro del genere, per primi come Forza Italia avevamo proposto: detrazione Iva per flotte aziendali come nel resto d’Europa, bonus rottamazione anche per la sostituzione dei veicoli meno recenti con auto ad alimentazione benzina o diesel di ultima generazione, incentivi all’acquisto tramite esenzione triennale o quinquennale dal bollo auto ed eliminazione Ipt.

Pertanto, lo ribadisco: serve, con un urgenza, un vero e proprio ‘pacchetto-auto’, fatto da azioni semplici, attuabili e che darebbero un certo impulso ad un mercato ormai ridotto ai minimi termini. Dopo giorni di attesa ci sono arrivate 541 pagine dell’ennesimo decreto, ma neanche una riga di interventi per un settore così strategico per il nostro Paese.

Una scelta tanto miope quanto pericolosa. Ecco perché abbiamo raccolto l’appello promosso da Federauto, trasformando in emendamenti le nostre proposte.

Rinnovo dei vertici di Seta SPA, si proceda con un bando pubblico

Un interessante dibattito, esclusivamente giornalistico. Basato, per lo più, su indiscrezioni relative ad accordi che si starebbero delineando fra i Sindaci e, si dice, tra gli schieramenti politici più rappresentativi. Questo finora è ciò che “passa il convento” in merito al prossimo rinnovo della governance di Seta SPA. O, quantomeno, questa è la mia sensazione.

Seta – lo ricordo in primis a me stesso – è una società a controllo pubblico che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel territorio del Consorzio di bacino 16, quindi anche nel Comune in cui svolgo il mio mandato di Amministratore locale, ancorché al momento di minoranza.

Pertanto, contrariamente a quanto successo finora, ritengo che i tempi siano maturi affinché il tema di chi dovrà guidare quell’azienda per i prossimi tre anni assuma finalmente carattere pubblico e trasparente, anche in considerazione dei suoi numeri di bilancio e delle implicazioni che essi hanno avuto, hanno e avranno sulla bollettazione a carico dei cittadini del nostro territorio.

Tutti noi, infatti, ricordiamo i 68 milioni di euro di debiti che Seta aveva nel 2012, che la portarono ad un passo dal default, con tutto ciò che un’eventualità del genere avrebbe determinato in termini di qualità del servizio pubblico e di perdita di posti di lavoro. Numeri che nel corso di questi ultimi otto anni sono decisamente migliorati, fino a determinare per la prima volta nel 2019 un utile netto pari a circa 2,5 milioni: un risultato, quest’ultimo, di cui bisogna dare atto all’attuale compagine di vertice.

Serve discontinuità, dunque? Nei nomi, è corretto discuterne. Nel metodo di selezione, certamente sì. Ecco perché mi permetto di intervenire su questo argomento, evidenziando l’opportunità di operare le scelte che si rendono necessarie per il Consiglio di amministrazione e per il Collegio sindacale del prossimo triennio attraverso la redazione di un bando pubblico, aperto a tutte quelle professionalità che volessero rendersi disponibili e rimettendo tali professionalità alla valutazione dell’assemblea dei Sindaci del Consorzio. In ciò, innovando rispetto all’attuale modalità prevista dalla Convenzione fra i Sindaci del gennaio 2014 (che aveva valenza quinquennale, con tacito rinnovo), e adeguando la procedura a quella che oggi viene adottata ormai nella totalità delle nomine pubbliche.

Tra l’altro, un bando pubblico consentirebbe di valutare, in via preventiva attraverso la raccolta dei curricula, la presenza, in capo ai candidati, dei requisiti di professionalità e onorabilità richiesti dal decreto legislativo 175/2016, che disciplina in maniera specifica le società in controllo pubblico, e l’assenza di cause di inconferibilità e incompatibilità ai sensi del decreto legislativo 39/2013.

Vorranno i Sindaci oggi in carica, specie quelli che detengono le quote più rilevanti di Seta, dare un segnale di apertura e di trasparenza, mettendosi al riparo, oltreché dalle critiche, soprattutto da successive eventuali segnalazioni all’ANAC?

Poiché sono un ottimista di natura e perché – come è noto – i rifiuti non sono “né di destra, né di sinistra”, auspico che questa sia la volta buona per avviare per la governance di Seta una nuova stagione, attraverso una procedura ad evidenza pubblica del tutto identica a quelle che stanno adottando altre realtà aziendali equiparabili: una nuova stagione in cui siano privilegiate e valorizzate le competenze in campo ambientale.

Asti-Cuneo, bene il via libera del Cipe. Adesso però aspettiamo la ripartenza del cantiere

Il Cipe oggi ha dato il via libera all’ennesimo nuovo schema di finanziamento per il completamento dell’autostrada Asti-Cuneo? E’ certamente una buona notizia, che diventerà ottima quando la promessa del marzo dell’anno scorso del premier Conte di far ripartire il cantiere “entro l’estate” si tramuterà finalmente in realtà.

Al Ministro Dadone, che nella sua dichiarazione sottolinea “la cura e l’attenzione per il dossier” da parte del Presidente del Consiglio, giova ricordare che dal giorno di quella promessa sono passati circa 14 mesi e che le “evidenti e ripetute manovre burocratiche e di palazzo per affondare l’opera”, con cui tenta di giustificare l’ulteriore tempo perso, potrebbero essere facilmente associate a Governi e a Ministri sostenuti dal suo partito e/o dal PD.

In questo quadro, sono certo che il concessionario abbia tutto l’interesse a partire con i lavori il prima possibile, avendo dovuto assistere, suo malgrado, al balletto delle soluzioni messo in atto dai Governi nazionali che si sono susseguiti negli ultimi anni: un clima di incertezza che – questo sì! – è sembrato uno scherzo nei confronti dei piemontesi che da troppo tempo attendono di poter dotare il proprio territorio di un’infrastruttura determinante per l’economia della nostra Regione

E’ urgente mettere in campo un “pacchetto-auto”, per frenare il crollo delle nuove immatricolazioni nel 2020

Nei giorni scorsi abbiamo purtroppo dovuto prendere atto di come il mercato dell’auto abbia registrato nell’aprile di quest’anno un crollo delle nuove immatricolazioni di circa il 97 % rispetto all’aprile dell’anno scorso. La stessa cosa è avvenuta a marzo, e i primi giorni di maggio stanno confermando questo drammatico trend: in quadro del genere, le stime a fine anno portano ad ipotizzare addirittura 500.000 immatricolazioni in meno rispetto al 2019. Un numero che, se venisse confermato, metterebbe una seria ipoteca sulla capacità del nostro tessuto industriale di reggere alla concorrenza straniera, con tutte le conseguenze negative in termini di (dis)occupazione che ciò porterebbe con sé. Il comparto automobilistico genera, infatti, il 10% del PIL del nostro Paese e conta circa 1.200.000 posti di lavoro, diretti ed indiretti; è caratterizzato da una filiera straordinaria di piccole e medie imprese, specie in Piemonte, che fonda la propria attività sulla fornitura ai produttori, sia italiani, sia esteri.

Nella cosiddetta “fase tre”, quella cioè della ricostruzione post-coronavirus, serviranno pertanto misure coraggiose, finalizzate al rinnovo del parco auto degli italiani, che oggi è fra i più obsoleti a livello europeo. E’ necessario che il Governo metta subito in campo un vero e proprio “pacchetto-auto” che preveda, da un lato, significativi incentivi alla rottamazione da sommare a quelli delle case automobilistiche e, dall’altro lato, interventi di natura fiscale, come l’abolizione dell’IPT e l’esenzione pluriennale della tassa di circolazione per chi acquisti veicoli con motorizzazione elettrica, ibrida o tradizionale a basso impatto ambientale; nonché, per quanto riguarda il sempre più importante mercato delle flotte aziendali, l’allineamento con gli altri Paesi europei sia dei termini di detraibilità dell’IVA, sia dell’entità della quota d’ammortamento.

Serve una progettualità per la ripartenza, perché prima o poi la cassa integrazione e i bonus finiscono

Quando, nel corso della discussione generale sul Documento di Economia e Finanza, sottolineavo l’assenza in quel testo di una strategia per la fase post emergenziale, la mia preoccupazione era (ed è) esattamente quella del neopresidente di Confindustria Carlo Bonomi, esplicitata oggi in modo molto chiaro in una sua intervista: il rischio, cioè, che quando finiranno le risorse destinate alla cassa integrazione, al reddito di emergenza, ai bonus per i lavoratori autonomi e a tutti gli interventi straordinari di queste settimane, la situazione del nostro tessuto economico-produttivo sarà notevolmente compromessa, per mancanza di ordini e per non aver potuto effettuare gli investimenti necessari a reggere il passo con i nostri competitori sui mercati. Con la terribile conseguenza di un crollo dei posti di lavoro, ben superiore ai 500.000 stimati dal Governo nel 2021, che potrebbe verificarsi già dopo l’estate, facendoci precipitare in un’emergenza sociale drammatica.

E’ fondamentale pertanto infondere fiducia al nostro sistema produttivo, per consentirgli di ripartire da subito su basi solide: ecco perché Forza Italia ha predisposto un nutrito pacchetto di proposte per i prossimi provvedimenti, in cui alla liquidità necessaria per fronteggiare l’emergenza ha affiancato interventi per la semplificazione, per lo sblocco dei debiti della PA e, soprattutto, per un taglio ‘poderoso’ delle tasse. Proposte che mirano a favorire la libertà d’iniziativa e a incentivare l’impresa che crea valore per la nostra comunità nazionale, a scapito di un neointerventismo dello Stato in economia fuori dal tempo.

Intervento in Aula – Def e scostamento di Bilancio

Sono intervenuto alla Camera, in rappresentanza del mio gruppo parlamentare, nell’ambito della discussione e del voto sul DEF (Documento di Economia e Finanza) e sul relativo scostamento di Bilancio richiesto dal Governo per far fronte all’emergenza Coronavirus.

Ci aspettano, come scritto dal Governo stesso nel DEF, forti perdite di quota del PIL (130 miliardi nella migliore delle ipotesi), minori incassi fiscali, una disoccupazione crescente ancor più di quanto già lo fosse prima dell’emergenza. Le misure previste per contrastare questo tsnuami, sono del tutto insufficienti. E rimangono, cosa ancor più grave, nel campo dei perenni annunci.

Qui il mio intervento integrale: