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Asti-Cuneo, che fine ha fatto la promessa di Conte di riavviare i lavori “entro l’estate”?

Fa un po’ specie dover tornare ad affrontare, per di più con un quesito a risposta immediata, un tema come il completamento dell’autostrada Asti-Cuneo, che avrebbe potuto e dovuto essere archiviato da anni. Anche perché la soluzione per la ripresa e la conclusione dei lavori, attesi ormai dal 2012, era stata concordata dal precedente Governo con l’Unione Europea, tramite un cross-financing che avrebbe consentito di reperire le risorse necessarie, pari a circa 350 milioni di euro.

Ma l’attuale Governo, con il Ministro delle Infrastrutture Toninelli, ha legittimamente scelto di bloccare quella procedura: peccato, tuttavia, che al di là delle generiche rassicurazioni su una ripresa dei lavori in tempi brevi, rassicurazioni prodotte sia in sede parlamentare, sia in dichiarazioni giornalistiche, ad oggi non si sia sbloccato alcunché e non si sia messo in campo un chiaro percorso alternativo. Non solo. Proprio in questi giorni la Commissaria UE per il mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e le piccole e medie imprese Elzbieta Bienkowska ha ribadito come sia in corso “un dialogo costruttivo con le autorità italiane volto ad analizzare, sia dal punto di vista degli aiuti di Stato che degli appalti pubblici, le misure presentate dalle autorità italiane per il completamento dei lavori sull’autostrada Asti-Cuneo”, quando invece il Ministro Toninelli il 5 giugno scorso aveva garantito una modalità operativa diversa, e cioè che il Governo italiano potesse procedere senza dover attendere alcun placet da Bruxelles.

A nome di Forza Italia ho, quindi, affrontato nuovamente il tema in sede di Commissione Ambiente, Territorio e Lavori pubblici, chiedendo conto con un’interrogazione urgente dei tempi e dei prossimi sviluppi rispetto ad un cantiere fermo da troppi anni, con 9 chilometri di autostrada da Cherasco a Cuneo che rappresentano ormai davvero un miraggio.

La nostra regione non può tollerare ulteriori prese in giro, tra continui rimbalzi di responsabilità e rinvii: purtroppo per noi piemontesi il Sottosegretario Santangelo, nella sua risposta, non ha saputo chiarire questa incongruenza tra la posizione di Toninelli e quella di Bienkowska, tirando invece in ballo l’Autorità di Regolazione dei Trasporti che, a quanto dice, avrebbe avviato una non meglio specificata procedura finalizzata al riavvio dei lavori. Il tutto, ahinoi, senza dare alcun termine temporale né alcuna indicazione più precisa.

E dire che il 17 marzo scorso proprio il Presidente Conte, in visita presso il cantiere fermo della Asti-Cuneo, aveva garantito la ripresa dei lavori “entro l’estate”.

Bene, oggi è il primo giorno della stagione estiva: vigileremo affinché quell’impegno solenne di fronte ad un territorio stufo di attendere sia mantenuto e che l’ulteriore tempo perso dall’attuale Governo su questo dossier possa essere recuperato.

Sistema Tangenziale di Torino – Aggiornamenti

“Preciso che il MIT non ha in corso alcuno studio di fattibilità finalizzato alla pubblicizzazione di SATT”.

Bastano queste poche parole, pronunciate oggi in Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici dal sottosegretario Matteo Dell’Orco (M5S) in risposta ad una mia interrogazione del novembre scorso, per certificare il fallimento dell’ipotesi di affidare ad un soggetto pubblico la concessione del sistema autostradale tangenziale torinese. Ipotesi, quest’ultima, di cui la Città Metropolitana di Torino si era fatta promotrice e in merito a cui, a mezzo stampa, aveva solennemente dichiarato che “lo studio è in corso”, dopo un incontro con il Ministero delle Infrastrutture avvenuto proprio in quel periodo.

L’11 dicembre 2017, cioè quasi un anno prima, la Città Metropolitana aveva in effetti approvato un ordine del giorno, finalizzato da un lato a valutare la pubblicizzazione del sistema tangenziale torinese, dall’altro a separare la concessione per la gestione del sistema tangenziale di Torino da quella per la A55 Torino-Piacenza.

Il Sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti Dell’Orco, collega di partito del Sindaco Metropolitano Chiara Appendino e del consigliere delegato ai Lavori pubblici e Infrastrutture Antonino Iaria, con la sua odierna risposta in Commissione ammette come l’ipotesi della pubblicizzazione non sia mai stata presa neanche in considerazione dal suo Ministero, mentre la separazione delle concessioni non sia attuabile alla luce delle indicazioni dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti. Una doppia sconfessione per il Movimento 5 Stelle alla guida della Città Metropolitana di Torino, proprio ad opera dei suoi referenti al momento al governo del Paese.

Quanto, infine, alla concessione attualmente in essere, prendiamo atto della volontà di procedere con la pubblicazione del nuovo bando di gara per l’individuazione del concessionario di SATT, pur non avendo potuto conoscere tempi e modi previsti, stante la fumosità e la vaghezza della risposta del Sottosegretario Dell’Orco su questo punto.

Lo dichiara in una nota Carlo Giacometto, deputato piemontese di Forza Italia, componente della VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori pubblici della Camera dei Deputati.

Piccole soddisfazioni di un militante della prima ora

Nei giorni scorsi ho analizzato il voto di preferenza al Presidente Berlusconi in ciascuno dei collegi della Camera dei Deputati in cui è suddiviso il territorio piemontese.

Ebbene, con grande soddisfazione, ho verificato che il collegio n. 7 di Piemonte 1, quello cioè in cui sono stato eletto nel 2018, risulta il migliore in assoluto in termini di preferenze ottenute da Berlusconi: 2582, a fronte di una media provinciale per collegio pari a circa 2260 e una media regionale per collegio pari a circa 2300.

Evidentemente, essermene occupato ha portato un piccolo ma significativo risultato: da militante, che dopo tanta gavetta è approdato nella serie A della politica, non posso che esprimere grande soddisfazione, oltre che un sentimento di gratitudine verso le tante persone che mi hanno supportato anche in questa occasione.

Insomma, i numeri parlano (sempre) chiaro, mentre le chiacchiere stanno a zero.

Radio Radicale, il mio intervento in Aula nel corso della maratona oratoria per scongiurare la sua chiusura

Grazie Presidente,

mi fa decisamente effetto intervenire proprio nella giornata odierna per sostenere le ragioni di Radio Radicale e del servizio pubblico che ha svolto ininterrottamente dalla fine del 1975 ad oggi, nel giorno in cui ci ha lasciati la sua storica voce.

Non ho, infatti, avuto il privilegio, come i colleghi Polverini e Giachetti, di conoscere personalmente Massimo Bordin. Ho però avuto, come tutti credo qui, la fortuna di ascoltare la sua rassegna stampa e di conoscere il suo lavoro, apprezzandone la professionalità, la competenza, l’intelligenza, la cultura, l’ironia, l’amore per la democrazia e per le libertà.

Con la sua scomparsa (per la quale porgo le mie sincere condoglianze ai famigliari e alla comunità di Radio Radicale, unendomi ai colleghi che sono intervenuti all’inizio della seduta pomeridiana, ndr) viene a mancare il punto di riferimento, l’asse portante dell’intera storia di Radio Radicale, con il suo sguardo in assoluto più attento, più forte, anche più critico.

Per ribadire ancora una volta, prendendo parte alla maratona oratoria del mio gruppo parlamentare, la nostra avversione – appunto – “più radicale” alla fine delle sue trasmissioni, vorrei contribuire a smontare due fake news.

La prima: Radio Radicale non è una semplice emittente, ma una testata giornalistica, che svolge “attività di informazione di interesse generale”, come riconosciuto dal Governo in occasione della gara del 1994 per la concessione del servizio di trasmissione delle sedute parlamentari.

La seconda: la convenzione che regola il rapporto tra la radio e il Ministero non è piovuta dal cielo, ma a seguito – appunto – di una gara triennale per tale servizio pubblico, messa in atto dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni nel 1994, la cui efficacia è stata poi prorogata di anno in anno, nonostante l’emittente stessa abbia più volte richiesto l’organizzazione di una nuova gara, con un orizzonte temporale meno precario, che consentisse – dunque – di programmare anche i necessari investimenti.

Radio Radicale rappresenta, da più di quarant’anni, l’informazione trasparente, la voce libera, un impareggiabile esempio di servizio pubblico, garantito e accessibile per tutti grazie alla passione e all’impegno di una comunità che vedeva, che vede in Massimo Bordin la sua punta più avanzata.

Mancano solo 33 giorni alla fine delle sue trasmissioni: Di Maio, che con le sue scelte di politica economica ha già condannato l’Italia a spendere 11 miliardi di euro in più di risorse pubbliche, cioè dei contribuenti, per far fronte ai maggiori interessi sul debito pubblico di qui al 2021 (fonte: Banca d’Italia), trovi il tempo di rispondere al nostro appello e, soprattutto, le risorse necessarie per salvaguardare una storia fondamentale, che coincide con l’Italia contemporanea, essendone testimone e custode dei suoi momenti cruciali.

La tassazione immobiliare in Italia. I dati ci confermano l’urgenza di una riforma per rilanciare il settore

Nel corso della riunione di mercoledì scorso della Commissione bicamerale di vigilanza sull’anagrafe tributaria si è svolta la prima audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva che abbiamo voluto finalizzare alle proposte di riforma della fiscalità immobiliare. L’obiettivo di fondo che ci siamo dati è quello di formulare proposte e politiche per il rilancio del settore, secondo i principi di equità e semplificazione.

Protagonista di questo primo appuntamento, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate dott. Antonino Maggiore, che ha svolto una relazione molto dettagliata e ricca di aspetti di rilievo per il decisore politico.

A partire dal dato più importante e su cui, a mio giudizio, è opportuno svolgere qualche considerazione: quello, cioè, relativo al carico fiscale sul patrimonio immobiliare degli italiani e sulla modalità con cui si origina.

Nel 2018, infatti, la tassazione sugli immobili in Italia si è attestata complessivamente intorno ai 40 miliardi di euro. Un numero, già di per sè, da cui si intuisce quali siano le cause della crisi del settore edilizio in quest’ultimo decennio, ovvero il periodo in cui quel numero è cresciuto in maniera più sensibile.

Ma è la composizione dei 40 miliardi complessivi annui che ci fornisce le informazioni più interessanti: poco più del 20% di quella cifra è frutto delle imposte sui redditi delle persone fisiche e delle imprese (IRPEF e IRES), trattandosi di proventi che i proprietari sommano al loro reddito annuale. Per costoro, il carico fiscale è intorno agli 8 miliardi. 

Quelle, poi, sui trasferimenti e sulle locazioni – ovvero IVA, imposte di registro, ipotecarie e catastali, sulle successioni e donazioni, imposte di bollo – valgono 12 miliardi annui, il 30% del totale.

Infine, le imposte di natura prettamente patrimoniale, ovvero IMU e TASI, sfiorano il 50%, per un totale di circa 20 miliardi annui che entrano nei bilanci dei Comuni.

Bastano questi quattro numeri – 40, 8, 12, 20 – per comprendere le cause della crisi del mercato immobiliare in Italia: una tassazione eccessivamente onerosa, che pesa per metà su patrimoni immobiliari che, spesso, non costituiscono per i proprietari fonte di reddito ma, al contrario, generano soltanto spese impreviste. E per una parte molto importante sulle compravendite immobiliari.

Si tratta, dunque, di un prelievo fiscale eccessivo, che sottrae risorse alla disponibilità dei cittadini e, quindi, ai consumi interni. Un prelievo fiscale che raggiunge la cifra record di 40 miliardi annui, che deve essere quantomeno rimodulato nella sua composizione, alleggerendo e spostando il carico dai patrimoni e dai trasferimenti ai maggiori redditi che, con la sua valorizzazione, si possono generare.

Sull’autonomia è il caso di rilanciare

Sul percorso avviato da alcune Regioni – Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna, in primis – sulla cosiddetta autonomia differenziata è necessario in via preliminare illustrare la cornice entro la quale si sta svolgendo la trattativa con il Ministero per gli Affari regionali.

Sono due le principali obiezioni da parte di quelli che potremmo definire i difensori dello status quo: per costoro, la riforma condannerà le Regioni del Meridione d’Italia ad essere ulteriormente svantaggiate, poiché in termini di residuo fiscale (la differenza tra le spese che lo Stato destina ad un determinato territorio e il gettito fiscale generato dalle tasse dei contribuenti di quello stesso territorio) sarebbe matematico che qualche Regione possa guadagnarci e qualche altra perderci; in più, verrebbe meno la coesione nazionale, con tanti piccoli staterelli in cui i servizi resi ai cittadini sarebbero di maggiore o minore qualità, efficacia ed efficienza.

Sulla prima obiezione, è sufficiente dire che lo Stato continuerà a dare a ciascuna Regione per lo svolgimento di una determinata nuova competenza (ai sensi dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione) le medesime risorse che lo Stato impiega già oggi per quella stessa competenza. Nè un euro in più, né un euro in meno. Starà poi ad ogni singola Regione impiegare al meglio quelle risorse: insomma, un primo passo in avanti in termini di responsabilità politica dei governatori e delle loro maggioranze.

In merito, invece, alla supposta proliferazione di piccoli Stati, ciascuno con le proprie eccellenze o le proprie criticità, beh, credo che si tratti semplicemente di osservare la realtà per verificare come, ad esempio sulla Sanità (che è la prima fonte di spesa per le Regioni) vi siano già oggi differenze notevoli fra le Regioni, cosa che dovrebbe stimolare una competizione positiva tra i territori.

Poiché, tuttavia, credo che il nostro compito non sia quello di difendere lo situazione odierna, ma al contrario di dare ulteriore impulso alla legittima richiesta di autonomia delle Regioni, sarebbe il caso di alzare la posta, introducendo tre elementi nel dibattito. 

In primo luogo, una riforma dello Stato in senso presidenziale, con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, da affiancarsi al maggiore grado di autonomia dei singoli territori; quindi, il tema finora mai considerato (neppure nel dibattito sul cosiddetto reddito di cittadinanza, ndr) del diverso costo della vita tra le Regioni ed entro le Regioni; infine, ma non meno importante, un vero federalismo fiscale, e cioè un’autentica autonomia, anche impositiva, per le Amministrazioni regionali, con la conseguente responsabilità politica (vedo, pago, voto) di chi le governa.

Ecco, credo che queste siano alcune delle riflessioni da offrire al dibattito di questi giorni sull’autonomia differenziata.

PIL, la realtà è che siamo in recessione. Le chiacchiere e la propaganda stanno a zero

Sembra una barzelletta, ma – purtroppo per l’Italia – non lo è. E’ la realtà, nuda e cruda. E, soprattutto, non c’è niente da ridere.

Da un lato, infatti, qualche giorno fa ci siamo dovuti sorbire le roboanti dichiarazioni del Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio circa un’imminente (quanto fantomatico) boom economico. Dall’altro lato, invece, proprio oggi dobbiamo prendere atto della certificazione da parte dell’Istat di come il nostro Paese sia entrato in recessione. 

Insomma, sogni e sparate contro numeri e indicatori. I primi, buoni per la propaganda in vista delle elezioni europee del maggio prossimo, quindi enfatizzati su tutti i canali di comunicazione; i secondi, sottaciuti e relegati al rango di “numeretti”.

Sarebbe certamente una forzatura attribuire tutte le responsabilità del crollo del PIL nel quarto trimestre 2018 all’attuale Governo, stante una situazione internazionale, e specificamente europea, tornata incerta. Tuttavia, dopo otto mesi di vita dell’esecutivo Conte, l’agenda economica del cosiddetto “cambiamento” non ha avuto alcun effetto positivo, anzi.

L’Italia era il fanalino di coda durante i Governi Renzi e Gentiloni in termini di crescita fra i paesi UE, e lì è rimasta, pur ricorrendo a maggiore deficit per coprire, dal 2019 in avanti, spese correnti e non spese di investimento, se non in piccolissima parte (ad esempio, l’intervento, che personalmente ritengo positivo, a favore dei Comuni sotto i 20.000 abitanti).

Lo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio ci ha ricordato anche ieri che l’impatto della legge di bilancio sulla crescita sarà irrilevante, aprendo la strada al rischio di una manovra correttiva già nel corso di quest’anno fatta di tagli ai servizi, come ad esempio la sanità, e di interventi di natura fiscale, e cioè l’introduzione di un’ulteriore patrimoniale sugli immobili e addirittura sulla ricchezza mobiliare degli italiani. 

Il tutto, con la spada di Damocle dell’aumento dell’IVA, che scatterà in maniera automatica dal 1° gennaio 2020 e che falcidierà i consumi interni, oltre a determinare un crollo del gettito.

Insomma, il Governo Conte la smetta con la propaganda sulla pelle degli italiani al solo fine di acquisire tempo e consenso in vista delle prossime elezioni, prenda atto della realtà e dei cosiddetti “numeretti”, e stravolga completamente la propria agenda economica, utilizzando le poche risorse disponibili per finanziare le opere pubbliche, grandi e piccole, per tagliare le tasse alle famiglie e per ridurre il cuneo fiscale alle imprese. 

Solo così il sistema produttivo italiano potrà tornare ad offrire opportunità di occupazione, sia per chi si affaccia per la prima volta nel mondo del lavoro, sia per chi vuole rientrarci e non considera dignitoso dover combattere per ottenere interventi di natura assistenziale – che certamente non sono né universali, né risolutivi – come il fantomatico reddito di cittadinanza.

TAV, storia del tempo perso

In principio fu lo spauracchio dell’amianto e dell’uranio. I (paventati) rischi per la salute furono, infatti, fra le prime argomentazioni avverse alla linea ad alta velocità/capacita Torino-Lione da parte dei comitati NO-TAV. Poi, però, tali argomentazioni vennero rapidamente abbandonate, anche alla luce delle posizioni ufficiali assunte dalle massime autorità scientifiche sulla materia.

In particolare, giova ricordare quanto riportato negli del atti del convegno “Amianto e uranio in Val di Susa” – organizzato nella nostra Città il 5 maggio 2006 dall’Accademia delle Scienze di Torino e dalla Società Geologica Italiana, con la collaborazione del Dipartimento di Scienze della Terra e del Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Petrologiche dell’Università degli Studi di Torino – in cui, a chiare lettere, si arrivò ad una risoluzione molto chiara: “I dati geologici consentono di concludere che nella Valle di Susa non esiste un rischio prevedibile per la salute pubblica che possa derivare dalla presenza di quantità eccessive né di amianto, né di uranio. Quello che invece si pone, e che è ben lungi dall’essere risolto, è piuttosto un problema di corretta informazione e di comunicazione dei risultati delle ricerche scientifiche già condotte: su questo terreno si auspica una più incisiva azione delle amministrazioni locali a tutti i livelli, dalla Regione ai Comuni interessati, e dai mass media”.

Tolto di mezzo, appunto, lo spauracchio dei danni alla salute e all’ambiente, si passò poi alla concertazione (e ai relativi costi aggiuntivi) con i Comuni coinvolti, fino ai giorni nostri, dopo tanti anni da quel 2006, con la ormai fantomatica – per usare l’aggettivo usato dal Viceministro all’Economia Massimo Garavaglia proprio in un’intervista su La Stampa odierna (qui allegata) – analisi costi-benefici, di cui peraltro da mesi attendiamo le risultanze.

Ma facciamo un passo indietro, proprio sul tema dei tempi e sempre sul tema dell’alta velocità ferroviaria. La Torino-Lione, come si sa, è la prosecuzione verso ovest della linea ad alta velocità Milano-Torino. Ebbene, tale linea verso la capitale economica italiana è stata messa in esercizio in sette anni, avendo il Governo Berlusconi inaugurato i cantieri nel 2002, con termine nel 2009. Tra l’altro, si tratta di un’opera che è andata ad affiancarsi alla linea storica senza che nessuno immaginasse di intervenire su quest’ultima o di proporne ammodernamenti, in un territorio urbanizzato, disseminato di zone industriali, con un’orografia particolare. 

E, infine, facciamone diversi, di passi indietro. Andiamo al 1910, perché è proprio il caso di aggiungere, qui, una curiosità che risale a quel periodo.

Nei giorni scorsi, infatti, ho avuto la fortuna di poter leggere una molto documentata “Memoria del Comune di Torino alla Conferenza Italo-Francese – 21 giugno 1910”, intitolata “Il miglioramento delle comunicazioni ferroviarie fra l’Italia e la Francia”, firmata dall’allora sindaco di Torino, poi Ministro dell’Industria e del Commercio del Governo Facta, Teofilo Rossi di Montelera.

E’ un’appassionata perorazione a migliorare la linea Torino – Susa – Traforo del Frejus  (chiamata “Linea del Cenisio”), portandola tutta a doppio binario. Incidentalmente, annota l’inadeguatezza della stazione di Modane. Ma è interessante la esortazione finale: “spingere la Conferenza a migliorare gli accessi dal Cenisio a Lione e oltre fino all’Atlantico procurando così un congruo compenso all’antica via italo francese e a Torino”. 

E’ proprio il caso di dirlo: in fatto di lungimiranza, Rossi batte Appendino e Governo Conte per 6-0 6-0.

Sempre coerente, sempre presente. Da venticinque anni

Un quarto di secolo. Un tempo lunghissimo per i canoni della politica odierna. E’ quanto è passato dal 26 gennaio 1994, giorno in cui Silvio Berlusconi decise di “scendere in campo”, per usare un’espressione che ci riporta proprio a quei giorni.

Avevo poco più di vent’anni. E mi apprestavo ad esprimere il mio secondo voto politico, il primo della cosiddetta Seconda Repubblica.

Allora mi definivo vagamente “di destra”, vuoi per avversione al mainstream dominante in una provincia “rossa” come quella torinese (sono sempre stato un bastian contrario, non propriamente un pregio detto fra noi, ndr), vuoi soprattutto per storia famigliare. Tuttavia, non ritenendo adeguata l’offerta politica dell’allora Destra Nazionale, soprattutto per la sua vocazione alla mera testimonianza, probabilmente il mio voto sarebbe andato in altre direzioni.

Ma la nascita di Forza Italia fu per me la risposta. Una forza politica portatrice dei valori della Patria, della libertà, del merito e dell’impegno, filo-atlantica e federalista. Un movimento orientato ai programmi, alla soluzione dei problemi reali, alla concretezza, e competitivo per il governo del Paese, delle Regioni e delle Città, in ciò interprete della legge elettorale prevalentemente maggioritaria approvata solo pochi mesi prima. Non ebbi alcun dubbio, e affidai la mia (prima) fiducia a Silvio Berlusconi.

Da quel giorno sono passati, appunto, i venticinque anni che festeggiamo oggi. La mia passione politica mi ha portato ad occuparmene in prima persona, consentendomi pochi mesi fa – dopo una giusta gavetta nel movimento giovanile, nelle strutture del partito e nelle Amministrazioni locali – di rappresentare migliaia di elettori alla Camera dei Deputati, con la vittoria, non scontata, nel collegio uninominale di Settimo Torinese.

Sempre coerente, sempre presente: con questo slogan ho affrontato quella competizione e mi sono presentato agli elettori. Uno slogan magari banale, ma in grado di descrivere in quattro parole il percorso che mi aveva portato fin lì.

Sempre coerente, perché pur con qualche posizione critica, essenzialmente su questioni locali, non ho mai pensato di lasciare Forza Italia e Silvio Berlusconi.

Sempre presente, perché non c’è stata iniziativa o manifestazione promossa dal mio partito cui non abbia partecipato attivamente. Le ricordo tutte, una ad una.

E anche oggi, nel venticinquesimo compleanno di Forza Italia, sono stato nei mercati, fra la gente, orgogliosamente con il gilet azzurro a fianco dei nostri militanti, sentendomi io stesso – seppur, al momento, con un ruolo molto importante nelle Istituzioni – uno di loro.

Con la grande mobilitazione odierna abbiamo riaffermato come Forza Italia sia centrale nel centrodestra italiano, perché è un movimento portatore di valori, di istanze e di progettualità quantomai attuali: è la rappresentanza politica del ceto medio che non si rassegna al livellamento verso il basso e, anzi, aspira a migliorare sia la propria condizione personale, sia quella della comunità in cui vive e opera.

Forza Italia è centrale, dunque, ha una storia e avrà certamente un grande futuro.

Buon compleanno a tutti noi, innamorati dell’Italia!