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Legge di Bilancio 2020, un mio breve commento

Come ogni anno in questo periodo, il Parlamento è chiamato all’esame della Legge di Bilancio. Mai come quest’anno ritrovo un atteggiamento vessatorio da parte del Governo, secondo l’ormai sempre più dominante per M5S e PD principio di “Tasse & Manette”. Potete scaricare dal link qui sotto un breve video in cui provo a raccontarvi perché sono e siamo contrari ad un Bilancio costruito in questo modo, che non dà risposte ma piuttosto crea nuovi problemi.

L’unica via per fronteggiare i danni da dissesto idrogeologico è semplificare e velocizzare le procedure

Il dissesto idrogeologico del nostro territorio continua ad essere gestito come un’emergenza, in occasione di ogni evento calamitoso. E’ chiaro a tutti, ormai, come sia invece una malattia cronica, e come tale vada trattata. Non è, infatti, un problema di risorse, come ci viene detto da più parti, ma di sempre nuovi adempimenti burocratici che, in realtà, sono veri e propri impedimenti, che dilatano in maniera inaccettabile i tempi per far partire i cantieri.

Il Governo ha il compito fondamentale di velocizzare tutte le procedure e di attivarsi il prima possibile, perché il tempo perso costa, anche in termini di vite umane. Oltre ai ritardi, abbiamo anche un problema di controlli, quindi di prevenzione del rischio. Serve realizzare un monitoraggio capillare di tutta la rete viaria, da quella autostradale a quella delle strade provinciali, abbandonate negli ultimi anni a causa dei tagli dei trasferimenti agli enti gestori decisi dai Governi guidati dal Pd, da Matteo Renzi in poi.

Attività di monitoraggio e di controllo di cui, peraltro, si sarebbe dovuta far carico l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali (ANSFISA), se non fosse ancora un ente fantasma e non operativo, pur essendo stata istituita più di un anno fa.

Non si puo’ lasciare al suo destino un territorio come l’Italia, ma bisogna intervenire subito, fare continua manutenzione per poter reggere anche episodi meteorologici di natura eccezionale come quelli che abbiamo registrato in Piemonte negli ultimi giorni.

Piccole Equitalia crescono…

Nei giorni scorsi abbiamo preso atto di come il premier Conte consideri “mistificazioni” quelle che per noi sono, invece, misure da Stato di polizia fiscale. Peccato, però, che l’articolo 96 della Legge di bilancio sia molto chiaro quando stabilisce che dal prossimo anno ciascun Comune italiano potrà adottare gli stessi strumenti oggi in capo all’Agenzia delle Entrate – e ieri, prima della sua finta abolizione, in capo a Equitalia – per la riscossione dei tributi propri: certamente IMU e TASI e con ogni probabilità anche le multe stradali.

Insomma, avremo più di 8000 piccole Equitalia che potranno avviare tutte le procedure esecutive per fare cassa, a cominciare dal pignoramento di stipendi, conti correnti, beni mobili e immobili!

In più, abbiamo scoperto dalla lettura dei quotidiani che il Ministro per l’Innovazione Paola Pisano starebbe lavorando alla realizzazione di una piattaforma informatica nazionale con cui la pubblica amministrazione colloquierà direttamente con i cittadini, che saranno obbligatoriamente dotati del loro “domicilio digitale”.

Potrebbe essere certamente un’ottima notizia. Non vorremmo, tuttavia, che la finalità primaria di questa piattaforma, che guarda caso torna in auge proprio adesso, sia quella di poter notificare on-line multe e cartelle esattoriali; e non, come ci si aspetterebbe, di rendere più semplice il rapporto di cittadini e imprese con gli svariati livelli dell’amministrazione pubblica del nostro Paese.

Dal Governo Monti in poi, in Italia è crollato il mercato immobiliare, mentre le tasse patrimoniali sono salite alle stelle. E viceversa

Secondo Confedilizia, la perdita di valore delle abitazioni degli italiani dal 2011 ad oggi è arrivata alla cifra-monstre di 1300 miliardi di euro. A fronte di ciò, la sola tassazione sul patrimonio, e ciòè IMU e TASI, è salita fino a 21 miliardi annui, senza considerare le imposte sul reddito e di registro, che generano un gettito di pari entità: insomma, una patrimoniale-salasso che ha contribuito in maniera determinante al crollo del mercato immobiliare.

Mi trovo, dunque, pienamente d’accordo con il Presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, quando boccia senza mezzi termini l’ipotesi di accorpamento di IMU e TASI che il Governo giallorosso ha inserito nella manovra di bilancio per il prossimo triennio. Intanto perché si prevede un aumento dell’aliquota di base, che passa dal 4 al 5 per mille per le abitazioni principali e dal 7,6 all’8,6 per mille per gli altri immobili; poi, perché scompare qualsiasi collegamento con i servizi pubblici resi dai Comuni, scaricando sui proprietari l’intera copertura dei relativi costi; quindi, perché addirittura viene concessa un’aliquota massima più alta, pari all’11,4 per mille rispetto al 10,6 per mille, a circa 300 Comuni italiani, fra cui Roma e Milano, introducendo un palese vizio costituzionale; infine, perché non vi è alcun intervento a favore dei proprietari di quegli immobili sfitti da tempo per assenza di inquilini o di acquirenti e oggi gravati da tasse e costi di mantenimento sempre più insostenibili.

Insomma, il governo delle quattro sinistre, in assoluta continuità con i governi che da Monti in poi hanno reso sempre più gravoso il carico fiscale sul patrimonio immobiliare, continua a considerare la casa degli italiani come il proprio bancomat, senza prevedere shock positivi in grado di far finalmente ripartire il mercato”.

Ich bin ein Berliner

Per ventisei lunghi anni un muro ha diviso una città nel cuore dell’Europa, ha raccontato di due diverse idee del mondo, ma soprattutto ha separato storie familiari e personali.

Trent’anni fa, oggi, cadeva il Muro di Berlino.

Da un lato, spinto giù da una grande forza popolare; dall’altro, grazie ad una una coraggiosa volontà politica dell’Occidente, che giocò da protagonista una partita in cui in ballo c’erano la libertà e le speranze dei suoi cittadini e cittadine.

Oggi festeggiamo una vittoria di quella libertà e di quella speranza.

Ma ricordiamo anche un momento che – forse più di qualunque altro! – segnò la differenza, politica e sostanziale, tra un’Europa saldamente inserita nell’Atlantismo e un’altra,
piegata alla dottrina comunista e sotto l’influenza dell’Unione Sovietica.

La prima, fortemente radicata sull’uomo al centro della società, la seconda sul totalitarismo.

Non ho alcun dubbio sul fatto che si sia fatta la scelta più giusta, che oggi con forza dobbiamo rivendicare e difendere. 

 

Governo giallorosso, una manovra economica all’insegna di ulteriori tasse, sanzioni, adempimenti

Una manovra senza futuro, all’insegna di un inasprimento di quella che ormai è diventata una vera e propria oppressione fiscale nei confronti dei contribuenti italiani. E che non offre alcuna prospettiva in termini di crescita della nostra economia. 

Si caratterizza così la prima sessione di bilancio del governo giallorosso delle quattro sinistre, con provvedimenti ispirati da un’attitudine sanzionatoria e da una ricerca spasmodica di nuove fonti di gettito.
Si pensi, ad esempio, alla scelta di diminuire il limite all’utilizzo dei contanti, senza al contempo prevedere incentivi e agevolazioni per i pagamenti elettronici: un regalo per chi potrà incamerare maggiori commissioni sulle transazioni e l’ennesimo balzello per i consumatori. 
Oppure, come non ha mancato di sottolineare Confedilizia, la proposta, per noi irricevibile, di aumentare l’aliquota della cedolare secca sugli affitti abitativi a canone calmierato, dall’attuale 10% al 12,5%: ciò determinerebbe una clamorosa inversione di tendenza rispetto ad una misura che ha consentito di ridurre drasticamente l’evasione fiscale nel mercato delle locazioni, generando maggior gettito con una tassazione “piatta”. Misura che, al contrario, dovrebbe essere estesa e resa strutturale anche per le locazioni commerciali.
Insomma, si tratta di una manovra di bilancio orientata esclusivamente a reperire nuove risorse per continuare ad alimentare spesa corrente improduttiva come il cosiddetto reddito di cittadinanza, senza una strategia per una riduzione complessiva della tassazione a carico dei contribuenti.

Il mio intervento alla Camera nel corso della discussione generale su Rendiconto 2018 e Assestamento 2019 (testo + video)

Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo,

nel corso della seduta odierna siamo chiamati a discutere di due documenti fondamentali per il bilancio pubblico del nostro Paese, a pochi giorni dalla presentazione al Parlamento da parte del nuovo governo “giallorosso” della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, ovvero la base programmatica per la legge di bilancio 2020-2022 (che a sua volta, è da inviare alle Camere entro il 20 ottobre prossimo): si tratta di due documenti di finanza pubblica che ci consentono – in primo luogo con il rendiconto generale dello Stato per l’anno finanziario 2018 – di definire il risultato della gestione finanziaria di un anno, cosiddetto, elettorale, in cui per cinque mesi il Governo è stato presieduto dall’attuale commissario europeo on. Paolo Gentiloni con una maggioranza di centrosinistra e per i successivi sette mesi dal Presidente prof. Giuseppe Conte, con la sua ormai ex maggioranza “gialloverde”; e, in secondo luogo, con l’istituto dell’assestamento dell’anno finanziario in corso, di evidenziare un aggiornamento, a metà esercizio 2019, degli stanziamenti di bilancio, anche sulla scorta della consistenza dei residui attivi e passivi accertati in sede di rendiconto dell’esercizio precedente. Assestamento che, ricordo, è completamente frutto dell’attività del governo Conte I, anche se per paradosso, verrà approvato da quest’Aula (a differenza di quanto è avvenuto in Senato nel luglio scorso) da una maggioranza parlamentare radicalmente diversa: quella, appunto, che attualmente sostiene il Governo giallorosso, il Conte BIS.

Il disegno di legge di approvazione del rendiconto ha carattere formale e risulta sostanzialmente inemendabile. Questo provvedimento, infatti, la cui iniziativa è riservata al Governo ai sensi dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, evidenzia le risultanze contabili della gestione amministrativa delle risorse di competenza statale.

Il Parlamento, pertanto, è chiamato ad esprimere una valutazione complessiva senza poter modificare il contenuto dell’atto. Valutazione complessiva che, spesso, non trova la giusta attenzione da parte dell’opinione pubblica ma che contiene in sé alcuni indicatori che meritano, al contrario, di essere sottolineati, anche in funzione delle scelte future nell’impiego delle risorse pubbliche (che poi altro non sono che le risorse dei cittadini-contibuenti).

Fra gli indicatori da evidenziare in questa sede vi è l’avanzo della gestione di competenza, pari a quasi 24 miliardi di euro, che segna un miglioramento dei saldi rispetto alle previsioni contenute nell’Assestamento 2018.  Le operazioni complessive di bilancio danno luogo a 840.677 milioni di accertamenti di entrate e 816.702 milioni di impegni di spesa, generando un avanzo complessivo di 23.975 milioni, pari a 26.036 milioni al netto delle regolazioni contabili.

Si registra, tuttavia, un peggioramento del risparmio pubblico (saldo delle operazioni correnti), che passa dai 31,6 miliardi di euro registrati nel 2017 ad un valore di 27,4 miliardi (corrispondente all’1,6 per cento del PIL), con una riduzione di circa 4,2 miliardi rispetto al 2017. Tale situazione è determinata dal maggior incremento delle spese correnti (+13 miliardi) rispetto al complesso delle entrate tributarie ed extra-tributarie (+8,9 miliardi).

Per quanto riguarda il debito pubblico, a fine 2018 era pari a 2.321,957 miliardi di euro (132,2% del Pil), in aumento di 52,947 miliardi di euro rispetto ai 2.269,01 del 2017 (131,4% del Pil), con un incremento del rapporto debito/Pil dello 0,8%. Si tratta di una inversione di tendenza rispetto alla progressiva (sebbene contenuta) riduzione degli anni precedenti. E già questo sarebbe un indicatore che dovrebbe metterci in allarme. Se poi, invece, dovessimo fare riferimento – come ci suggerisce Bankitalia – alle nuove metodologie dell’Eurostat nel ricomputare i debiti pubblici sovrani, con il trasferimento contabile nel perimetro del debito pubblico italiano dei buoni fruttiferi postali emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, il dato drammatico per il 2018 sarebbe per l’Italia pari al 134,8% del PIL, in sostanza circa 58 miliardi in più.

Per quanto riguarda, infine, il totale delle spese di parte corrente e di quelle in conto capitale, se da un lato assistiamo ad una lieve riduzione complessiva, pari allo 0,1 per cento, rispetto al 2017, passando da 612,1 miliardi di euro del 2017 a 611,6 miliardi di euro del 2018, dall’altro lato non possiamo non sottolineare come la spesa di parte corrente abbia generato impegni per circa 562 miliardi di euro, in aumento (+13,1 miliardi) rispetto al 2017, mentre gli impegni di spesa in conto capitale abbiano registrato una riduzione, di circa 13,6 miliardi di euro rispetto al 2017, scendendo da 63,2 miliardi a 49,6 miliardi (-21,5 per cento circa).

Insomma, la spesa complessiva è rimasta pressoché invariata (alla faccia di tutti i proclami in fatto di revisione della spesa pubblica), ma in compenso ad una spesa “buona”, quella per gli investimenti che generano sviluppo, è stata preferita, sia dal Governo Gentiloni, sia dal Governo Conte I, la spesa corrente, dispersa in mille rivoli o, peggio, nelle promesse propagandistiche insostenibili.

Se, come si è detto, il rendiconto è una sorta di fotografia di un esercizio finanziario annuale, ed è sostanzialmente non modificabile, diverso è discorso che si può fare per la legge di assestamento, che interviene a metà anno per aggiornare l’equilibrio dei conti pubblici.

Al di là del tema, certamente positivo, dello “scampato pericolo” rispetto ad una procedura di infrazione per deficit (e debito) eccessivo che avrebbe ulteriormente minato la situazione dei nostri conti pubblici, tema su cui tornerò fra poco, ritengo importante sottolineare preliminarmente le direzioni lungo le quali la delegazione di Forza Italia in Commissione Bilancio guidata dall’on. Andrea Mandelli ha presentato le proprie proposte emendative al disegno di legge in esame, attraverso l’impiego di maggiori risorse per:

  • stimolare la competitività e lo sviluppo delle imprese con interventi di sostegno tramite la leva della fiscalità, secondo la ben nota equazione secondo cui meno tasse alle imprese che investono generano più sviluppo e, quindi, più lavoro;
  • sostenere concretamente, e non con interventi spot, le politiche sociali e gli interventi in favore della famiglia, coerentemente con quanto già proposto da Forza Italia in occasione della discussione del Decreto cosiddetto “Crescita”: parliamo di IVA agevolata sui prodotti per l’infanzia (pannolini, latte in polvere e liquido, latte speciale o vegetale per soggetti allergici, intolleranti, omogeneizzati e prodotti alimentari, strumenti per l’allattamento, prodotti per l’igiene, carrozzine, passeggini, culle, lettini, seggiolini per automobili) e sulla detrazione di un importo pari al 20% per l’acquisto di prodotti alimentari e non alimentari destinanti ai lattanti di età inferiori a dodici mesi.
  • rafforzare il comparto sicurezza, aumentando la dotazione organica e finanziaria dell’Arma dei carabinieri e della Polizia di Stato per la tutela dell’ordine pubblico, perché la sicurezza dei cittadini è un diritto che deve essere tutelato e le forze dell’ordine devono essere messe in condizione di operare al meglio;
  • adeguare la dotazione finanziaria del fondo finalizzato a sostenere i progetti di fusione dei Comuni, un tema che ci sta particolarmente a cuore – come dimostrano gli atti di sindacato ispettivo proposti nelle settimane scorse dai colleghi Alessandro Cattaneo e Stefano Mugnai e le prese di posizione del collega piemontese Roberto Pella, anche nel suo ruolo di vicario dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia – un tema che sta particolarmente a cuore a chi, come il sottoscritto proviene da una Regione, il Piemonte, che conta quasi 1200 Comuni e che negli ultimi tempi ha visto concretizzarsi qualche progetto di fusione tra piccoli Comuni, proprio sulla base di quei trasferimenti promessi dall’autorità statale che, invece, nel 2019 sono stati tagliati mediamente del 40 per cento. Con il nostro emendamento, ripresentato in Aula a prima firma della Presidente Gelmini chiediamo, dunque, di adeguare l’entità di tali trasferimenti, per una cifra pari a circa 31 milioni di euro, per evitare di bloccare processi virtuosi già avviati e di rompere un patto con piccole comunità locali che, attraverso un processo virtuoso, dal basso, con il coinvolgimento della popolazione tramite l’istituto del referendum, hanno accettato la sfida di rendere più efficiente il livello di governo locale, cercando di migliorare i servizi pubblici attraverso le economie di scala che una struttura di dimensioni maggiori potrebbe garantire. Per il 2019, stiamo parlando di 166 Amministrazioni comunali in Italia, che hanno istituito 67 Enti a seguito di fusione e che, per effetto dei contributi erogati “una tantum” dal Ministero dell’Interno per le spese di investimento, in alcuni casi hanno paradossalmente aggiunto al danno della riduzione dei trasferimenti rispetto alla ripartizione del 2018, la beffa di avere meno risorse a disposizione, non potendo “sommare” i contributi che sarebbero spettati ai Comuni originari, prima appunto delle varie fusioni. Con il nostro emendamento, dunque, ci auguriamo, che il fondo, che oggi ha una disponibilità pari a circa 46,5 milioni di euro, venga adeguato per venire incontro alle giuste sollecitazioni delle amministrazioni locali e dell’ANCI.

Più in generale, invece, per quanto riguarda l’assestamento 2019, possiamo affermare che si tratta di un documento “ispirato”, anzi, “dettato” dall’Unione Europea, con buona pace dei contraenti del precedente accordo di Governo.

Forza Italia ha ovviamente visto con favore la conversione in legge del decreto-legge n. 61 del 2 luglio scorso, perché prevedeva importanti risparmi di spesa corrente, pari a circa 1,5 miliardi di euro, in merito ai provvedimenti-bandiera del governo gialloverde, a cominciare dal reddito di cittadinanza.

L’assestamento, pari a 6,1 miliardi, in questo caso completa la manovra di allora: l’entità complessiva (7,6 miliardi) della correzione del deficit per l’anno in corso fa sì che l’Italia rientri nei parametri del debito (2,1%) e non si sia aperta la procedura d’infrazione. Averla scongiurata è certamente un fatto positivo. Resta però un dato: il faro dell’Unione europea è costantemente acceso sui nostri conti pubblici e, quel che più conta, sulla sostenibilità del nostro debito.

Ciò significa che l’attuale – e di segno politicamente opposto, rispetto alla precedenza – maggioranza parlamentare nel DEF dovrà affrontare, riducendo il tendenziale del deficit, il disinnesco per circa 23 miliardi delle clausole di salvaguardia dell’IVA, le mancate privatizzazioni per circa 18 miliardi, tutte le misure spot che sono contenute nei 29 punti programmatici dell’accordo fra PD e M5S.

La fantasia non vi manca, e il florilegio di nuove tasse e balzelli che autorevoli esponenti dell’attuale Governo hanno ideato solo nell’ultima settimana è lì a dimostrarlo. Dalle merendine, ai voli aerei, alle accise sul diesel, alle tasse sui prelievi al bancomat, è tutto un tentativo di rastrellare risorse per finanziare spesa corrente e, per definizione, improduttiva in termini di sviluppo.

Noi di Forza Italia, ieri come oggi, abbiamo un’altra impostazione, e crediamo che le risorse pubbliche (che, lo ripeto, sono le risorse dei cittadini-contribuenti) debbano essere impiegate per gli investimenti e per il taglio delle tasse a famiglie e imprese.

Riteniamo sia, questo, l’unico modo per invertire una rotta che, secondo l’Ocse, ci vedrà caratterizzati da una crescita del PIL vicina allo zero sia nel 2019, sia nel 2020; un trend che certamente è condizionato da una situazione economica mondiale molto difficile e dai segnali di incertezza e di sfiducia in tutta l’area dell’euro; ma che certamente sconta la bassa produttività del nostro sistema-paese, il deficit infrastrutturale, le troppe tasse e una burocrazia ottusa ed eccessiva: sono questi i nodi da affrontare in via prioritaria, non altri!

Grazie

 

 

Correggere le storture del cosiddetto “taglio” dei vitalizi. Sarà, forse, impopolare, ma chissenefrega: è semplicemente giusto

Fra gli effetti indotti dal cosiddetto “taglio” dei vitalizi – in realtà il ricalcolo di quell’istituto e la sua trasformazione, di fatto, in una pensione contributiva, attraverso il metodo della capitalizzazione – votato nel corso dell’ultima seduta del Consiglio regionale del Piemonte, vi è una palese stortura (vorrei dire violazione costituzionale, ma mi occupo di numeri e mi spiacerebbe passare per un apprendista stregone della giurisprudenza, ndr), che si aggiunge alla retroattività della norma in questione, elemento che già di per sé meriterebbe un commento a parte e che potrebbe aprire il varco alla messa in discussione di tutti i diritti acquisiti dai cittadini italiani.

Tale ulteriore effetto indotto è frutto di una Legge votata dal Consiglio regionale del Piemonte nel dicembre 2011: in particolare dell’articolo 5 bis della Legge Regionale 25.

Con quella norma, infatti, in Piemonte venne disposta la sospensione dall’erogazione del vitalizio per chi si trovasse a subire una condanna definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione.

Ciò ha una conseguenza paradossale: se, a titolo di esempio, un alto dirigente della PA – già in quiescenza – venisse condannato in via definitiva per un reato, appunto, contro la PA continuerebbe a percepire la sua pensione (giustamente, secondo me, avendo comunque versato per n anni i contributi sul proprio stipendio secondo la legislazione vigente), mentre nel caso di un “politico”, quantomeno qui da noi, la nostra Legge regionale gliene sospenderebbe l’erogazione.

A tal proposito, ricordo che oggi in Italia, per effetto della Legge Fornero (e delle successive modificazioni), le uniche motivazioni per la sospensione dell’erogazione di pensioni i cui titolari siano stati condannati in via definitiva sono per i seguenti articoli del codice penale: 270 bis (associazioni terroristiche), 280 (attentato con finalità terroristiche), 289 bis (sequestro di persona a scopo terroristico o eversivo), 416 bis (associazione mafiosa), 416 ter (scambio elettorale politico-mafioso), 422 (strage).

Insomma, la legge è uguale per tutti, ma per chi ha dedicato molti anni alla vita pubblica del nostro Paese e della nostra Regione è meno uguale. C’entrerà forse il fatto che si tratta di poche decine di persone, con scarsissimo peso elettorale?

A me pare incomprensibile e inaccettabile che ciò stia avvenendo nel nostro Piemonte, una terra che si è sempre caratterizzata per la sua tradizione liberale e la sua cultura garantista.

Su Porta Canavese-Monferrato il PD non dia lezioni. Piuttosto, se ne occupi (finalmente)

Se davvero gli esponenti del PD che polemizzano con il neo Assessore Gabusi credono nella realizzazione di una stazione AV a Chivasso, la cui utilità per ridare centralità al nostro territorio è indubbia dal mio punto di vista, dovrebbero innanzitutto ricordare che, nei cinque anni scorsi in cui il loro partito ha governato la Regione, passi in avanti non ne sono stati fatti: l’ex Assessore Balocco, infatti, ha impiegato solo l’ultima parte della legislatura per produrre uno studio che non ha aggiunto alcunché al dibattito, sprecando ulteriore tempo. Non voglio, tuttavia, cavarmela con una polemica a buon mercato: ecco perché continuerò a evidenziare al Governo Regionale guidato dal Presidente Cirio il carattere strategico del progetto Porta Canavese-Monferrato, in continuità con quanto ho già fatto fin dal suo insediamento.
Non senza ricordare, tuttavia, che ad una sana azione di lobby territoriale della nostra Regione, insieme a quanto già espresso, tra gli altri, dalla Regione Autonoma della Valle d’Aosta, dalla Città Metropolitana di Torino, da un centinaio di Amministrazioni comunali del nostro territorio e da Confindustria Canavese, deve corrispondere un impegno concreto da parte del Governo e del Ministero dei Trasporti, che sono i soggetti titolati a prendere la decisione finale e a finanziare l’opera. Poiché il nuovo Ministro, l’onorevole Paola De Micheli, è un’autorevole esponente del PD, penso che i suoi colleghi a livello locale possano abbandonare il terreno della polemica fine a se stessa e impegnarsi in un lavoro costruttivo per il nostro territorio.

Furti a Chivasso, garantire il diritto alla sicurezza

Dopo aver ricevuto da un amministratore di lungo corso come Massimo Giovannini la segnalazione di quanto è avvenuto la scorsa settimana a Castelrosso, ho immediatamente contattato il comandante della Compagnia dei Carabinieri di Chivasso, il capitano Luca Giacolla, per confrontarmi con lui sulla vicenda e, più in generale, sul tema della sicurezza nel nostro territorio.
Mi ha confermato di aver già disposto un’intensificazione dei controlli, a cominciare dalla frazioni chivassesi, dimostrando la consueta attenzione al problema.
Spiace, tuttavia, dover constatare come le 41 telecamere del servizio di videosorveglianza, acquistate e installate dal Comune di Chivasso nel biennio 2016/2017, risultino ancora oggi inattive: se fossero in funzione, infatti, potrebbero già costituire un buon deterrente nei confronti di ladri e malviventi.
E dire che tale progettualità era uno dei punti del programma di mandato dell’attuale Amministrazione comunale di centrosinistra, insieme al potenziamento dell’illuminazione pubblica!
Resta comunque il fatto che a giugno scorso il sindaco ha promesso l’attivazione di quelle telecamere “entro fine anno”: speriamo che questo impegno venga quantomeno rispettato o, magari, anticipato nei tempi.
La sicurezza è un diritto dei cittadini: dobbiamo pertanto mettere in campo ogni sforzo per non assistere, ancora una volta impotenti, ad un escalation di furti nelle nostre abitazioni.