Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo,
nel corso della seduta odierna siamo chiamati a discutere di due documenti fondamentali per il bilancio pubblico del nostro Paese, a pochi giorni dalla presentazione al Parlamento da parte del nuovo governo “giallorosso” della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, ovvero la base programmatica per la legge di bilancio 2020-2022 (che a sua volta, è da inviare alle Camere entro il 20 ottobre prossimo): si tratta di due documenti di finanza pubblica che ci consentono – in primo luogo con il rendiconto generale dello Stato per l’anno finanziario 2018 – di definire il risultato della gestione finanziaria di un anno, cosiddetto, elettorale, in cui per cinque mesi il Governo è stato presieduto dall’attuale commissario europeo on. Paolo Gentiloni con una maggioranza di centrosinistra e per i successivi sette mesi dal Presidente prof. Giuseppe Conte, con la sua ormai ex maggioranza “gialloverde”; e, in secondo luogo, con l’istituto dell’assestamento dell’anno finanziario in corso, di evidenziare un aggiornamento, a metà esercizio 2019, degli stanziamenti di bilancio, anche sulla scorta della consistenza dei residui attivi e passivi accertati in sede di rendiconto dell’esercizio precedente. Assestamento che, ricordo, è completamente frutto dell’attività del governo Conte I, anche se per paradosso, verrà approvato da quest’Aula (a differenza di quanto è avvenuto in Senato nel luglio scorso) da una maggioranza parlamentare radicalmente diversa: quella, appunto, che attualmente sostiene il Governo giallorosso, il Conte BIS.
Il disegno di legge di approvazione del rendiconto ha carattere formale e risulta sostanzialmente inemendabile. Questo provvedimento, infatti, la cui iniziativa è riservata al Governo ai sensi dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, evidenzia le risultanze contabili della gestione amministrativa delle risorse di competenza statale.
Il Parlamento, pertanto, è chiamato ad esprimere una valutazione complessiva senza poter modificare il contenuto dell’atto. Valutazione complessiva che, spesso, non trova la giusta attenzione da parte dell’opinione pubblica ma che contiene in sé alcuni indicatori che meritano, al contrario, di essere sottolineati, anche in funzione delle scelte future nell’impiego delle risorse pubbliche (che poi altro non sono che le risorse dei cittadini-contibuenti).
Fra gli indicatori da evidenziare in questa sede vi è l’avanzo della gestione di competenza, pari a quasi 24 miliardi di euro, che segna un miglioramento dei saldi rispetto alle previsioni contenute nell’Assestamento 2018. Le operazioni complessive di bilancio danno luogo a 840.677 milioni di accertamenti di entrate e 816.702 milioni di impegni di spesa, generando un avanzo complessivo di 23.975 milioni, pari a 26.036 milioni al netto delle regolazioni contabili.
Si registra, tuttavia, un peggioramento del risparmio pubblico (saldo delle operazioni correnti), che passa dai 31,6 miliardi di euro registrati nel 2017 ad un valore di 27,4 miliardi (corrispondente all’1,6 per cento del PIL), con una riduzione di circa 4,2 miliardi rispetto al 2017. Tale situazione è determinata dal maggior incremento delle spese correnti (+13 miliardi) rispetto al complesso delle entrate tributarie ed extra-tributarie (+8,9 miliardi).
Per quanto riguarda il debito pubblico, a fine 2018 era pari a 2.321,957 miliardi di euro (132,2% del Pil), in aumento di 52,947 miliardi di euro rispetto ai 2.269,01 del 2017 (131,4% del Pil), con un incremento del rapporto debito/Pil dello 0,8%. Si tratta di una inversione di tendenza rispetto alla progressiva (sebbene contenuta) riduzione degli anni precedenti. E già questo sarebbe un indicatore che dovrebbe metterci in allarme. Se poi, invece, dovessimo fare riferimento – come ci suggerisce Bankitalia – alle nuove metodologie dell’Eurostat nel ricomputare i debiti pubblici sovrani, con il trasferimento contabile nel perimetro del debito pubblico italiano dei buoni fruttiferi postali emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, il dato drammatico per il 2018 sarebbe per l’Italia pari al 134,8% del PIL, in sostanza circa 58 miliardi in più.
Per quanto riguarda, infine, il totale delle spese di parte corrente e di quelle in conto capitale, se da un lato assistiamo ad una lieve riduzione complessiva, pari allo 0,1 per cento, rispetto al 2017, passando da 612,1 miliardi di euro del 2017 a 611,6 miliardi di euro del 2018, dall’altro lato non possiamo non sottolineare come la spesa di parte corrente abbia generato impegni per circa 562 miliardi di euro, in aumento (+13,1 miliardi) rispetto al 2017, mentre gli impegni di spesa in conto capitale abbiano registrato una riduzione, di circa 13,6 miliardi di euro rispetto al 2017, scendendo da 63,2 miliardi a 49,6 miliardi (-21,5 per cento circa).
Insomma, la spesa complessiva è rimasta pressoché invariata (alla faccia di tutti i proclami in fatto di revisione della spesa pubblica), ma in compenso ad una spesa “buona”, quella per gli investimenti che generano sviluppo, è stata preferita, sia dal Governo Gentiloni, sia dal Governo Conte I, la spesa corrente, dispersa in mille rivoli o, peggio, nelle promesse propagandistiche insostenibili.
Se, come si è detto, il rendiconto è una sorta di fotografia di un esercizio finanziario annuale, ed è sostanzialmente non modificabile, diverso è discorso che si può fare per la legge di assestamento, che interviene a metà anno per aggiornare l’equilibrio dei conti pubblici.
Al di là del tema, certamente positivo, dello “scampato pericolo” rispetto ad una procedura di infrazione per deficit (e debito) eccessivo che avrebbe ulteriormente minato la situazione dei nostri conti pubblici, tema su cui tornerò fra poco, ritengo importante sottolineare preliminarmente le direzioni lungo le quali la delegazione di Forza Italia in Commissione Bilancio guidata dall’on. Andrea Mandelli ha presentato le proprie proposte emendative al disegno di legge in esame, attraverso l’impiego di maggiori risorse per:
- stimolare la competitività e lo sviluppo delle imprese con interventi di sostegno tramite la leva della fiscalità, secondo la ben nota equazione secondo cui meno tasse alle imprese che investono generano più sviluppo e, quindi, più lavoro;
- sostenere concretamente, e non con interventi spot, le politiche sociali e gli interventi in favore della famiglia, coerentemente con quanto già proposto da Forza Italia in occasione della discussione del Decreto cosiddetto “Crescita”: parliamo di IVA agevolata sui prodotti per l’infanzia (pannolini, latte in polvere e liquido, latte speciale o vegetale per soggetti allergici, intolleranti, omogeneizzati e prodotti alimentari, strumenti per l’allattamento, prodotti per l’igiene, carrozzine, passeggini, culle, lettini, seggiolini per automobili) e sulla detrazione di un importo pari al 20% per l’acquisto di prodotti alimentari e non alimentari destinanti ai lattanti di età inferiori a dodici mesi.
- rafforzare il comparto sicurezza, aumentando la dotazione organica e finanziaria dell’Arma dei carabinieri e della Polizia di Stato per la tutela dell’ordine pubblico, perché la sicurezza dei cittadini è un diritto che deve essere tutelato e le forze dell’ordine devono essere messe in condizione di operare al meglio;
- adeguare la dotazione finanziaria del fondo finalizzato a sostenere i progetti di fusione dei Comuni, un tema che ci sta particolarmente a cuore – come dimostrano gli atti di sindacato ispettivo proposti nelle settimane scorse dai colleghi Alessandro Cattaneo e Stefano Mugnai e le prese di posizione del collega piemontese Roberto Pella, anche nel suo ruolo di vicario dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia – un tema che sta particolarmente a cuore a chi, come il sottoscritto proviene da una Regione, il Piemonte, che conta quasi 1200 Comuni e che negli ultimi tempi ha visto concretizzarsi qualche progetto di fusione tra piccoli Comuni, proprio sulla base di quei trasferimenti promessi dall’autorità statale che, invece, nel 2019 sono stati tagliati mediamente del 40 per cento. Con il nostro emendamento, ripresentato in Aula a prima firma della Presidente Gelmini chiediamo, dunque, di adeguare l’entità di tali trasferimenti, per una cifra pari a circa 31 milioni di euro, per evitare di bloccare processi virtuosi già avviati e di rompere un patto con piccole comunità locali che, attraverso un processo virtuoso, dal basso, con il coinvolgimento della popolazione tramite l’istituto del referendum, hanno accettato la sfida di rendere più efficiente il livello di governo locale, cercando di migliorare i servizi pubblici attraverso le economie di scala che una struttura di dimensioni maggiori potrebbe garantire. Per il 2019, stiamo parlando di 166 Amministrazioni comunali in Italia, che hanno istituito 67 Enti a seguito di fusione e che, per effetto dei contributi erogati “una tantum” dal Ministero dell’Interno per le spese di investimento, in alcuni casi hanno paradossalmente aggiunto al danno della riduzione dei trasferimenti rispetto alla ripartizione del 2018, la beffa di avere meno risorse a disposizione, non potendo “sommare” i contributi che sarebbero spettati ai Comuni originari, prima appunto delle varie fusioni. Con il nostro emendamento, dunque, ci auguriamo, che il fondo, che oggi ha una disponibilità pari a circa 46,5 milioni di euro, venga adeguato per venire incontro alle giuste sollecitazioni delle amministrazioni locali e dell’ANCI.
Più in generale, invece, per quanto riguarda l’assestamento 2019, possiamo affermare che si tratta di un documento “ispirato”, anzi, “dettato” dall’Unione Europea, con buona pace dei contraenti del precedente accordo di Governo.
Forza Italia ha ovviamente visto con favore la conversione in legge del decreto-legge n. 61 del 2 luglio scorso, perché prevedeva importanti risparmi di spesa corrente, pari a circa 1,5 miliardi di euro, in merito ai provvedimenti-bandiera del governo gialloverde, a cominciare dal reddito di cittadinanza.
L’assestamento, pari a 6,1 miliardi, in questo caso completa la manovra di allora: l’entità complessiva (7,6 miliardi) della correzione del deficit per l’anno in corso fa sì che l’Italia rientri nei parametri del debito (2,1%) e non si sia aperta la procedura d’infrazione. Averla scongiurata è certamente un fatto positivo. Resta però un dato: il faro dell’Unione europea è costantemente acceso sui nostri conti pubblici e, quel che più conta, sulla sostenibilità del nostro debito.
Ciò significa che l’attuale – e di segno politicamente opposto, rispetto alla precedenza – maggioranza parlamentare nel DEF dovrà affrontare, riducendo il tendenziale del deficit, il disinnesco per circa 23 miliardi delle clausole di salvaguardia dell’IVA, le mancate privatizzazioni per circa 18 miliardi, tutte le misure spot che sono contenute nei 29 punti programmatici dell’accordo fra PD e M5S.
La fantasia non vi manca, e il florilegio di nuove tasse e balzelli che autorevoli esponenti dell’attuale Governo hanno ideato solo nell’ultima settimana è lì a dimostrarlo. Dalle merendine, ai voli aerei, alle accise sul diesel, alle tasse sui prelievi al bancomat, è tutto un tentativo di rastrellare risorse per finanziare spesa corrente e, per definizione, improduttiva in termini di sviluppo.
Noi di Forza Italia, ieri come oggi, abbiamo un’altra impostazione, e crediamo che le risorse pubbliche (che, lo ripeto, sono le risorse dei cittadini-contribuenti) debbano essere impiegate per gli investimenti e per il taglio delle tasse a famiglie e imprese.
Riteniamo sia, questo, l’unico modo per invertire una rotta che, secondo l’Ocse, ci vedrà caratterizzati da una crescita del PIL vicina allo zero sia nel 2019, sia nel 2020; un trend che certamente è condizionato da una situazione economica mondiale molto difficile e dai segnali di incertezza e di sfiducia in tutta l’area dell’euro; ma che certamente sconta la bassa produttività del nostro sistema-paese, il deficit infrastrutturale, le troppe tasse e una burocrazia ottusa ed eccessiva: sono questi i nodi da affrontare in via prioritaria, non altri!
Grazie